Il fronte sudamericano anti-Blatter vuole alla Fifa uno che di calcio ne capisca veramente
Già a caldo, invece di seguire Putin sul percorso del complottismo anti-Washington, il presidente boliviano aveva chiesto una radicale riforma per dare la gestione della Fifa integralmente a calciatori ed ex calciatori, iniziando con l’eleggere “uno che abbia giocato un Mondiale”. “Ci sono oggi dirigenti che non capiscono niente né di gioco e né di pallone” aveva detto. Adesso, dopo la conferma di Blatter, il suo pensiero si è fatto anche più deciso. “Blatter ha vinto ma il calcio ha perso”, è stato il suo commento. Modesta proposta conseguente: approfittare del vertice tra Unione europea, Comunità degli stati latinoamericani e caraibici (Celac) e il Mercosur in agenda a Buxelles il 10 e 11 giugno, per mettere all’ordine del giorno la crisi della Fifa. “Chiedo al vertice di inserire nella discussione il tema, perché non è possibile che i soldi del mondo siano tanto male amministrati e ancor di più con simili accuse di corruzione”.
Almeno 60 capi di stato e di governo sono attesi al vertice e l’appuntamento è molto atteso per sbloccare in particolare quei negoziati su un accordo di libero commercio tra l’Ue e il Mercosur che soprattutto per il protezionismo argentino sono impantanati da una decina di anni. Stretto alleato di Morales, il presidente venezuelano Maduro ha per conto suo definito il vertice “una perdita di tempo”, spiegando che “esiste un disprezzo secolare e mai superato delle élite europee contro i popoli del Sud, quelli latinoamericani e dei Caraibi”. E sul presidente del Parlamento europeo Martin Schultz sempre Maduro ha detto: “Sono sicuro che se gli danno una mappa non sa nemmeno dov'è il Venezuela, si confonde e indica il Burundi”. Invece Morales crede che l’appuntamento sia una buona occasione per mettere i rappresentanti di Europa e Sudamerica a lavorare assieme su quella che secondo lui è una causa più importante del libero scambio: la pulizia del pallone globale attraverso un commissariamento da parte di ex-campioni come Platini o Zidane. Pure il presidente ecuadoriano, Rafael Correa, sembra pensarla allo stesso modo. Ha chiesto a sua volta ai “colleghi” di Ue e Celac di fare pressione per una “amministrazione responsabile e buona gestione” nella Fifa, spiegando che “fin quando ci saranno dirigenti che vivono del calcio non ci sarà mai una buona direzione”.
Correa ha inoltre ordinato un’inchiesta sulla Federación Ecuatoriana de Fútbol, che per ora non è stata coinvolta nel Fifagate, ma secondo quanto è trapelato sarebbe stata una delle tre uniche affiliate della Conmebol, la Confederazione sudamericana del calcio, che a Zurigo ha poi insistito per votare Blatter, assieme alla Confederação Brasileira de Futebol e alla Federación Venezolana de Fútbol. Malgrado il voto fosse ufficialmente segreto, si è pure saputo che Asociación del Fútbol Argentino, Federación Boliviana de Fútbol, Federación de Fútbol de Chile, Asociación Paraguaya de Fútbol, Federación Peruana de Fútbol e Asociación Uruguaya de Fútbol hanno invece deciso di unirsi al fronte europeo e americano in favore del principe Ali ibn al Husayn, mentre la Federación Colombiana de Fútbol si è astenuta. Ma in realtà l’unico pro-Blatter è proprio il Venezuela di Maduro, perché anche la Confederação Brasileira de Futebol è stata ripresa dal potere politico. In particolare è il senatore Romario colui che guida la crociata moralizzatrice che vorrebbe addirittura togliere alla federazione nazionale la gestione dei campionati a favore di una nuova organizzazione. Questa, per lo meno, è l’ipotesi di riforma fatta dal ministro dello Sport brasiliano, George Hilton.
[**Video_box_2**]Lo scandalo ha gravemente umiliato le federazioni locali: “C’è da vergognarsi”, ha commentato Correa. Ma, a parte ciò, l’apparente paradosso di leader terzomondisti ostili al terzomondismo calcistico di Blatter è dovuto al fatto che il Sudamerica si sente sì terzo mondo in politica e in economia, ma è anche cosciente, d’altra parte, di appartenere all’élite del calcio mondiale. E condivide dunque il malumore europeo per il crescente spazio dato a realtà calcistiche di Africa, Asia e Caraibi dalla trasparenza per lo meno opaca.