La vera colpa di Blatter che se ne va
Roma. E’ un passo inusuale e clamoroso, quello con cui Sepp Blatter ha annunciato le proprie dimissioni dalla presidenza Fifa appena quattro giorni dopo aver imposto la propria rielezione. Ma la sua posizione era divenuta insostenibile. Non solo per le indiscrezioni del New York Times che ieri indicavano la responsabilità diretta del suo fiduciario, Jérôme Valcke, nel trasferimento di 10 milioni di dollari su un conto personale di Jack Warner. All’ostilità dell’Uefa si era infatti aggiunta anche quella della Conmebol, l’associazione delle federazioni sudamericane. E se in Inghilterra crescevano le pressioni politiche per un boicottaggio dei Mondiali in Russia del 2018, i sudamericani minacciavano addirittura di far saltare la Copa América Centenario del 2016.
Insomma, con i voti di Asia, Africa e Caraibi si può venire eletti, ma poi sono le squadre europee e sudamericane quelle che fanno lo spettacolo da cui nasce il grande business. Inoltre, oggi, è il modello di management anglosassone quello che questo grande business può gestire, non è più il tempo (forse) per le camarille. L’addio di Blatter può dunque essere una svolta positiva per affrancare il calcio mondiale dalla palude terzomondista in cui stava sprofondando e veicolarlo verso un modello di business più efficiente? Ce lo si può augurare, ma sappiamo che dalle rivoluzioni condotte per via giudiziaria e con eccessi di moralismo possono nascere rimedi peggiori del male. Insomma: qui si rischia di finire come con le primavere arabe, calcisticamente parlando. La colpa maggiore di Blatter, a conti fatti, potrebbe non essere la presunta corruzione, ma l’incapacità di pilotare una crisi ormai inevitabile.