Chris Froome (foto LaPresse)

Froome fa crollare il Tour: resiste Quintana, Nibali e Contador in crisi

Giovanni Battistuzzi
Il keniano della Sky domina il primo arrivo in salita del Tour a La Pierre-Saint-Martin sui Pirenei. Lo Squalo perde oltre quattro minuti e ora è decimo a quasi sette minuti. La situazione è compromessa, ma non deve smettere di sperare.

Froome e poi il vuoto. La prima tappa pirenaica che giungeva a La Pierre-Saint-Martin, è una sentenza, senza appello, senza nemmeno la possibilità di immaginare un finale alternativo al canovaccio di questo Tour de France: Chris Froome davanti, solo, gli altri dietro, a inseguire, perché altro non è possibile fare. Il keniano d'Inghilterra della Sky controlla, attacca, sentenzia, uccide, compie un massacro sportivo, di gambe e teste, di atleti impegnati a scontrarsi con i propri limiti, mentre Froome frulla sui pedali come extraterrestre cinematografico. Niente da fare per Nairo Quintana, quello che doveva essere lo scalatore più forte, terzo al traguardo a oltre un minuto; niente da fare per Alberto Contador, che sognava l'accoppiata Giro-Tour, undicesimo a quasi tre minuti; niente da fare per Vincenzo Nibali, che puntava al bis in giallo, ventunesimo all'arrivo a quasi quattro minuti e mezzo.

 

Centosessantasette chilometri, un lungo e piatto avvicinamento, poi l'ascesa finale, quindici chilometri, dura per dieci, poi dolce verso l'arrivo. Centocinquanta chilometri di fuga a due, Kenneth Van Bilsen e Pierrick Fedrigo, gregari in cerca di un palcoscenico montano, vittime designate attaccate al cronometro, avanguardisti pronti a subire la bagarre dei grandi della classifica. Centocinquanta chilometri di inseguimento, di speranze, di attesa per le prime pendenze: per capire condizione propria e degli avversari, per progettare colpi imboscate fughe, per provare a lasciarsi alle spalle tutti gli altri, maglia gialla in testa.

 

Illusione, lunga, cocente, perché ne bastano 6,4 a Froome per spegnere qualsiasi speranza, per lasciare tutti sui pedali, per salutare gli avversari e andare a concedersi il lusso dell'uomo solo al comando, della cavalcata solitaria. Quintana è l'ultimo ad arrendersi, l'ultimo a vedere la schiena del keniano, a scorgerlo trasformarsi in un puntino giallo metri e metri davanti a lui.

 

Prima del colombiano si era sciolta nel caldo pirenaico tutta la nouvelle vague francese: le speranze del ciclismo transalpino hanno salutato a uno a uno presto, troppo presto, sparite tra le grida e gli urrà dei tifosi che sognavano un regalo per la festa nazionale. Prima del colombiano erano evaporate le speranze di Nibali, bloccato tra i fantasmi del Tour 2014, più di testa che di gambe, vittima di una tensione e un nervosismo mai visto, incapace di lottare, come se fosse troppo anche per lui portare un intero paese ciclistico sulle spalle, come se non bastassero le cadute e gli inseguimenti per mancanze altrui della prima settimana. Prima del colombiano si era spenta la speranza di Alberto Contador, che si è perso all'improvviso, calata repentina dall'eccellenza alla normalità di uomo che ha alle spalle, ma soprattutto sulle gambe la vittoria nel Giro d'Italia più duro degli ultimi anni.

 



 

 

Prima del colombiano tutti, primo dei battuti, anzi secondo, perché a precederlo ci ha pensato Richie Porte, gregario di Froome, colui che aveva dato il via alla diaspora a pedali verso la cima di La Pierre-Saint-Marten. Secondo oggi dopo essersi fatto il mazzo e aver limato ruote per tenere davanti il capitano, aver fallito un Giro da numero uno in casa Sky.

 

[**Video_box_2**]Froome ora ha 2'52" sul secondo, l'americano Teejay Van Garderen, 3'09" su Nairo Quintana, 4'01" su Alejandro Valverde, 4'04" su Alberto Contador, sesto, 6'57" su Vincenzo Nibali, decimo. Distacchi ampi, importanti, pietre sulle velleità di vittoria dei rivali. Froome è solo e primo, vincitore e dittatore, one man show. Froome ha già vinto, dicono, ma rimangono due settimane, quattro arrivi in salita, due tappe pirenaiche e quattro alpine. Froome è davanti, guarda tutti dall'alto in basso, sembra irraggiungibile, forse lo è davvero, ma è la strada a fare le vittorie. Nibali è distante, è battuto, sconfitto, menato: ha provato a diventare specialista, parsimonioso, ha cambiato se stesso e il suo modo sconsiderato di correre degli altri anni; l'anno scorso ha vinto, gli è andata bene, ora ritorni quello antico, ritorni a credere all'impossibile, perché sulle strade che mancano e sulle montagne che si troveranno ad affrontare c'è spazio per qualsiasi cosa, anche per l'impossibile.

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