Vittima del circo mediatico-giudiziario, Mauri ha giocato e ha vinto
Stefano Mauri si allena. Poi? Alla Lazio senza essere più nella Lazio. Non ancora. I compagni si sono giocati l’andata del preliminare di Champions League, la gente lo vuole, Lotito prima no ora forse, lui sta a Formello con il resto della squadra ma da svincolato. L’ha scritto in una lettera qualche settimana fa: “In questi giorni ho più volte parlato con il presidente e di comune accordo abbiamo deciso di terminare qui, dopo quasi 10 stupendi anni, il nostro rapporto professionale e di salutarci con il sorriso e tante lacrime. Mi mancherà tutto”.
Tornerà, dicono. E' stato pure annunciato. Perché ogni cosa gira da tempo attorno alla storia del calcioscommesse e il contratto non gli era stato rinnovato per questo: rischiava un altro processo, quindi un’altra squalifica, quindi un sacco di altre cose e di altre conseguenze. E’ stato sventato, il processo. Le conseguenze della giustizia sportiva pure. Il resto no. Quindi i cori, i sospetti, le mezze frasi, i tribunali popolari. Perché Mauri a 35 anni si porta – e si porterà ancora – dietro l’indagine e i relativi sospetti. Funziona così con la giustizia sportiva. Mauri è il caso vero di tutta quella vicenda, con Antonio Conte. I due personaggi più visibili, più noti. E’ stato il volto di una stagione di inchieste, condannato il primo giorno: pareva fosse il capo di tutto il giro, è stato condannato solo per omessa denuncia, il più lieve dei reati della giustizia sportiva. E però sta lì, ancora adesso. Nel territorio delle certezze degli altri che non sono certezze del diritto, sta nelle voci, nelle accuse da bar e da curva. Sta dove si nasconde spesso ciò che è stato e ciò che è: un giocatore che da anni è tra i migliori della serie A, che da centrocampista ha segnato 46 gol in 284 partite con la Lazio. Il suo anno migliore è stato l’ultimo: nove gol in una stagione in cui per molti avrebbe dovuto essere un reduce. Perché c’era, appunto, quella storia delle scommesse che pesava. Perché per tutto il campionato scorso s’è continuato a parlare di altre indagini, di altri rischi.
E’ un calciatore anomalo. Che ruolo ha? Interno, esterno, mezzapunta. Non c’è un punto di riferimento precedente, nel senso che non somiglia a nessuno del passato. Anche le movenze sono atipiche. C’è, non c’è. E’ uno che tocca pochi palloni e quando li tocca lo fa in fretta. Dai e vai. Vai soprattutto. Giocare senza palla, dicevano e dicono gli allenatori dei Pulcini quando cominciano a insegnare davvero come si sta in campo. Perché non serve tenerla tra i piedi. Mauri è l’esempio che ogni istruttore di calcio di base vorrebbe far vedere ai suoi ragazzini. E’ utile, pratico, furbo. Vede uno spazio e se lo prende. Un’intelligenza calcistica che gli permette di fare giocate che pochi altri sanno fare. Ha segnato gol stupendi, tra i più belli degli ultimi anni del campionato. Ha una particolare capacità acrobatica: prova rovesciate, sforbiciate, tiri al volo. Gli vengono naturali, spontanei. Sono belli, sempre. Perché ha una coordinazione particolare, determinata da quel fisico magro e sufficientemente slanciato da permettergli di provare soluzioni diverse. Lo scrittore Tommaso Giagni, laziale, ha scritto: “Spesso i suoi gol sono anomali, di una bellezza personale e per niente scontata. Per l’imprevedibilità e gli incroci al volo, per l’attenzione agli angoli della porta. Per il suo rapporto speciale con il tempo e con lo spazio, che gli dà una superiorità nello scegliere il momento di impattare il pallone”.
Si riconosce in questo, Mauri. L’acrobazia gli piace, ne parla con piacere. Nelle rare interviste che concede, parla volentieri anche dei suoi gol. Lui ricorda sempre quello contro il Napoli, il 7 aprile del 2012: mezza rovesciata di sinistro più o meno dal centro dell’area. “Credo sia stato uno dei gol più belli della storia del calcio italiano”, ha detto una volta in un’intervista. Entusiasta di sé, evidentemente. Lo è spesso. Sta al confine tra la consapevolezza dei propri mezzi e la sfrontatezza. Il silenzio che lo contraddistingue il più delle volte, il suo essere parco di dichiarazioni e interviste, hanno spesso fatto propendere per la seconda. Cioè: tra riservatezza e arroganza, è stato spesso scelto per l’arroganza. Nell’ambiente, Mauri è stato più volte dipinto così: presuntuoso, snob, spocchioso. Anche in questo caso molto dipende dalla vicenda scommesse, perché senza quella storia molti dei giudizi cambierebbero, molti delle supposte verità pure.
[**Video_box_2**]Mauri dovrebbe avere il beneficio della timidezza, caratteristica evidente nel suo tratto psicologico, ma mai evidenziato abbastanza. Così anche quando lo mettono giù, e succede tante volte (è il giocatore della Lazio che subisce più falli), lui si rimette in piedi in silenzio e alza la testa. Il che viene preso per un gesto di sfida. Perché? Non c’è altra risposta che nel pregiudizio che la storia del calcioscommesse ha generato. L’immagine simbolo è quella dello scorso campionato, in una rissa con Mexes. Anzi un’aggressione di Mexes che dopo avergli fatto fallo, prende un rosso, gli si avvicina e di fatto lo strangola. Mauri è muto e fermo, oggettivamente incolpevole, decisamente vittima. Il giorno dopo tutti censurano il difensore milanista, ma avanzano il sospetto di una provocazione. Perché? Perché è Mauri, quello delle scommesse. Il gesto che fa quando segna non l’ha aiutato: alza le due braccia, le piega, unisce indice e pollice delle due mani e li sfrega, con quel movimento che solitamente è il simbolo del denaro. Gliel’hanno chiesto in molti: che vuol dire? Non ha mai risposto, se non così: “E’ una cosa che riguarda la mia vita privata”. A molti non è bastato. Come a molti non basta che sia tra i più forti giocatori delle serie A. Nonostante l’età. Gli viene chiesto un riscatto eterno, ovvero l’impossibile. Tranne dai tifosi della Lazio che lo adorano. Anomalia anche questa: i giocatori coinvolti nel caso scommesse sono stati spesso ripudiati proprio dai tifosi. A Mauri è successo il contrario. Non è certo che significhi qualcosa, ma la sua importanza ce l’ha. Come ce l’hanno i gol, le presenze, gli assist, i falli che prende. Sono il gioco, contano davvero. Anche a 35 anni, anzi forse proprio a 35 anni.
Il Foglio sportivo - In corpore sano