Balo, tu?
Fino a qualche giorno fa ero tifoso rasserenato nell’animo e portavo uno sguardo rinfrancato sul futuro. Stavo lì a chiedermi se potessi finalmente smettere di stringere le chiappe e intitolare la rubrica della nuova stagione nella pagina di Jack O’ Malley in modo più ottimistico, che so “C and C”, campionato e Champions, certo non ancora Love come recita lo sdilinquito spot societario. Fantasticavo sul ritorno di Ibrahimovic che andrà pure per i 35, è un po’ goffo e a volte sgraziato ma quando arraffa palla a metà campo con quei piedoni o salta in mezzo all’area con quelle braccia smisurate intorno a lui si forma come il vuoto, roba da autostrade per l’Italia, insomma sognavo un successo sul filo di lana come alla prima di Allegri, quando è scoppiata la bomba: Mario torna.
Anche io sono tornato. All’antico. Ai ricordi, alle illusioni che si sgretolano, alle incazzature. Ottantatré milioni e siamo all’eterno ritorno dell’identico. Ottantatré milioni e abbiamo ancora un centrocampo di onesti carpentieri, incapaci di accendere una lampadina, di avere un lampo, un’illuminazione. Incredibile quanto una sola notizia possa prevalere su tutte le altre fino a cambiarne addirittura il segno: tutta la poca pallida luce che gli altri potrebbero creare finirà addosso a lui, alle sue intemperanze in campo, ai rimproveri che rivolgerà a compagni visibilmente intimiditi. Cose di pazzi, sono. Berlusconi e Galliani, due romantici che non resistono alla mozione degli affetti? Due pirla: passi per Galliani che ormai quando vede Mino Raiola ha lo stesso sguardo illuminato di Audrey Hepburn di fronte a Gary Cooper, in “Arianna”. Ma Silvio, buon Dio, che già la prima volta non voleva la mela marcia?
E’ d’obbligo però al vecchio tifoso calmarsi e riflettere. A costo zero o quasi è economicamente un buon affare, anzi ottimo. Il ragazzo ha venticinque anni, è ancora integro, almeno visto da fuori. E dentro? Ci si chiede se non sia più il decerebrato di cui parlò, impietoso, Mourinho. Se la morte del padre, il dovere di vegliare sulla vecchia madre, la vicinanza della figlia lo stiano portando a maturazione. Non lo so, non voglio saperlo, anzi non voglio proprio pormi la domanda. Sono affari suoi: non è possibile fare congetture su questo tocco di manzo benedetto da Dio cui per contrappasso la sorte ha assegnato l’orizzonte mentale di un buttafuori da locale notturno e il carattere di una midinette.
Non è facile cambiare: non lo è da vecchi, meno che mai lo è a vent’anni. Non è facile fare l’esame di coscienza ogni sera.
Dobbiamo dunque sperare nella paura e nella vergogna, grandi sentimenti primitivi, da feuilleton alla Teodosio Losito. Vergogna di essere ricordato come un fior di coglione, il più grande fallimento del calcio e dello sport in generale. Paura di finire al margine, deriso o quel che è peggio commiserato. Non so se la consapevolezza dell’ultima spiaggia può spezzare la coazione a ripetere, vincere pulsioni ripetitive di autodistruzione.
Per questo, dicono, c’è un terapista: Sinisa, il sergente di ferro. Non so a voi, a me quello di “Full Metal Jacket” che gli yes sir li estorceva con la ferocia dell’ordine e della disciplina dava voglia di sgozzarlo sotto la doccia. Galliani invece ci crede, ha pure fatto adottare un nuovo regolamento interno più o meno ispirato a quello dell’aereonautica militare: l’Inter come l’Isis. Per ora il soggetto risponde bene al trattamento. Un giorno solo non fa testo, eppure si colgono prime tracce di lavaggio del cervello, di costruzione del riflesso condizionato: a qualsiasi domanda risponde invariabilmente che l’unica cosa che lui ora deve fare è lavorare.
[**Video_box_2**]Noi a sperare che non fumi, non si ubriachi, non faccia notti in bianco e soprattutto che non inondi il web di messaggi eccessivi e ansiogeni, a credere nel miracolo. Anche quando era al top, si metteva in posa da Hulk e qualcuno lo lanciava prematuramente in firmamento per aver spezzato in due la Germania, pensavo che fosse troppo discontinuo, potente sì ma veloce solo in accelerazione e con poche idee calcistiche. Poi è venuto, è partito e tornato, era presunto top player ora è un precario di lusso. Altri prima di lui hanno fatto lo stesso percorso, Gullit, Sheva con risultati pessimi. O appena sufficienti nel caso di Kakà. Ma ce ne fu uno che andò e tornò dopo qualche mese: si chiamava Josè Altafini, con i suoi gol nel girone di ritorno ci portò allo scudetto. Caro Mario, faccia come lui, allora il nostro cuore sarà anche un po’ suo, per sempre.