Con il cartellino verde il calcio soccombe al moralismo. Come tutto il resto

Giovanni Maddalena
Alla fine doveva succedere: il calcio soccombe totalmente al moralismo. E’ arrivato il “cartellino verde” che gli arbitri di serie B (per ora) potranno estrarre per dire a tutti che quel giocatore è stato davvero buono e dunque andrà segnalato e, alla fine dell’anno, premiato.

Alla fine doveva succedere: il calcio soccombe totalmente al moralismo. E’ arrivato il “cartellino verde” che gli arbitri di serie B (per ora) potranno estrarre per dire a tutti che quel giocatore è stato davvero buono e dunque andrà segnalato e, alla fine dell’anno, premiato. Così avremo i giocatori buoni e quelli cattivi e, immagino, una grande contabilità di dare/avere in base alla presunta “bontà”. Due verdi annulleranno un giallo? Tre verdi per un rosso?

 

In che cosa consiste poi la “bontà”? Mettere fuori la palla se un avversario è a terra, dire all’arbitro che la mia caduta in area non era da rigore, ammettere di essere stato l’ultimo a toccare la palla prima che uscisse, eccetera. Speriamo che non arrivi anche la delazione: denunciare il fallo di mano del compagno che ha segnato. Ma con i tempi che corrono non si sa mai: magari per una bella delazione mi tirano fuori il cartellino verde Gold che mi regala una settimana a Coverciano al corso di allenatori. O di arbitri. Sì, la possibilità non è da escludere perché purtroppo il moralismo è un meccanismo e ha le sue regole. Moralismo si oppone a morale: mentre la morale identifica delle regole per la realizzazione del fine dell’attività che sto facendo, il moralismo stabilisce delle regole per fini estranei alla dinamica normale dell’attività e le rende degli assoluti. Buttare fuori la palla quando l’avversario è a terra non è giusto perché è un bel gesto, ma perché il gusto della vittoria, che è il fine del gioco, è un po’ diminuito se l’avversario è in inferiorità. Il moralismo invece nasce quando le ragioni della cosa – del calcio in questo caso – sono già offuscate. Non capendo più che il calcio è un gioco, che vincere è un piacere e deve essere totale, stabilisco una regola (si butta via la palla quando l’avversario è a terra) senza più averne le ragioni. Così poi non riesco più a capire che ci possono e ci devono essere delle eccezioni, che la regola è per una soddisfazione, che posso fare del “male” volontariamente ma sarò il primo a esserne insoddisfatto.

 

Insomma, il moralismo è un meccanismo che rende la regola un idolo padrone dell’uomo. Così, per il rispetto della regola astratta, ormai sganciata dalla ragione delle cose, l’uomo sarà disposto a sacrificare valori altrettanto importanti: la solidarietà della squadra, il contesto della città e del campionato, la soddisfazione profonda dell’agonismo. Alla fine, il moralismo invita meccanicamente alla delazione: denunciare quello che non rispetta le regole per la segreta invidia che ottenga il risultato lo stesso, dimostrando così che non si pensa che la regola c’entri con il fine.

 

La verità è che il moralismo nasce quando la natura delle cose è già sfuggita di mano e si fa un tentativo disperato per recuperarne le belle conseguenze, senza mai interrogarsi sulla loro origine. Da quanto tempo il calcio non è più un gioco? Da quanto tempo la soddisfazione del vincere non è il fine esplicito e riconosciuto? Da quanto si è perso il senso dell’appartenenza alla squadra? I tifosi, che hanno perso meno ragioni e valori degli addetti ai lavori, non hanno il moralismo del fair play e lo trovano stucchevole. Ma non è politicamente corretto ed economicamente conveniente provare a pensare di nuovo il mondo del calcio. Meglio un po’ di moralismo.

 

Il paradosso finale del moralismo è che genera comportamenti peggiori di prima perché le regole sganciate dalle ragioni non sono tollerabili a lungo e così si crea un rispetto esterno e formale insieme a corruzioni peggiori di prima. Quando cominceranno le scommesse e le combine sul giocatore più buono dell’anno?

 

[**Video_box_2**]Il cartellino verde sancisce la fine del processo. Non ci sono più ragioni cogenti per essere buoni ma solo regole, certificate da un arbitro. Purtroppo un triste simbolo colorato della mossa dell’intera società occidentale che non trovando ragioni e ideali prova a mettere sempre più regole, ottenendo lo splendido risultato di aumentare corruzione e malcostume. Dal problema dei migranti a quello dei funerali mafiosi, dal pagare le tasse alla conservazione dell’ambiente, mettiamo grandi quantità di regole per evitare di essere buoni o coscientemente cattivi, creando generazioni che non corrono il rischio di pensare i problemi veri ma solo l’apparenza delle regole. Quando ricominceremo a pensare le cose, la loro natura e il loro fine, e magari la loro soluzione?

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