Flavia Penntta posa con il trofeo degli US Open (LaPresse)

Nel tennis non esistono vittorie eterne, ma a Flavia Pennetta questo non importa più

Giorgia Mecca
Quando perdi una partita di tennis continui a perderla per giorni e giorni, ti si fermano davanti agli occhi tutti i rovesci sbagliati, l’inutile paura, il sorriso dell’avversaria. Quando vinci è tutta un’altra storia: “I successi durano sempre troppo poco”. 

Ci sono pensieri dai quali è meglio non lasciarsi sfiorare. Flavia Pennetta è una donna di trentatré anni, e tutto questo ormai lo sa. Partendo per giocare gli Us Open non avrà pensato a niente, forse era solo molto stanca. Ha giocato a Flushing Meadows per la prima volta nel 2003, perdendo al primo turno contro la Kuznecova. Sono passati 12 anni, e forse sono troppi. A New York quest’anno c’era posto solo per Serena, tutto il resto del tabellone sembrava essere solo una silenziosa comparsa di un torneo che ha già la sua regina. I book makers davano Flavia Pennetta come vincitrice a 150, nessuno scommetteva su di lei. Nemmeno lei lo avrebbe fatto.

 

Non è vero che ci speri sempre. A 33 anni lo sai bene quali sono i sogni che ti si addicono, sai ancora meglio quelli che non lo sono più. Quand’era piccola sognava Roma e il Foro Italico: “Papà mi ci porti?” chiedeva ogni anno. Il tennis preferiva guardarlo, dentro il campo era una battaglia continua, un continuo tremore. “Vorrei diventare una buona tennista, un punto di riferimento per il tennis italiano”. Tutto qui. Nel 2009 lo diventa; dopo aver battuto nei quarti di finale Daniela Hantuchova al torneo di Cincinnati entra a far parte delle dieci giocatrici più forti del mondo. Nessun italiana c’era mai riuscita prima. Ma questo non basta. Quando perdi una partita di tennis continui a perderla per giorni e giorni, ti si fermano davanti agli occhi tutti i rovesci sbagliati, l’inutile paura, il sorriso dell’avversaria. Quando vinci è tutta un’altra storia: “I successi durano sempre troppo poco”. 

 

Non esistono vittorie eterne, si ricomincia ogni volta da capo. Lo scorso marzo nel torneo di Indian Wells, dopo aver battuto agli ottavi di finale Maria Sharapova, che era numero tre del mondo, avrebbe voluto fermarsi un attimo ed esultare, ma non ne ha avuto il tempo: il giorno dopo era di nuovo in campo a perdere contro Sabine Lisicki. C’è sempre qualcuno più forte di te. Agli internazionali di Roma, lo scorso maggio Flavia ha perso al primo turno contro Elina Svitolina, che ha appena compiuto ventidue anni. Non è facile. E non è nemmeno divertente avere come unica alternativa alla vittoria la sconfitta. Flavia Pennetta a tennis ha perso molte volte, e non ci si abitua mai. Per questo motivo da un po’ di anni a fine stagione si faceva la stessa domanda: “Ha ancora senso continuare a perdere?”. Quando riesce ad accedere ai campi importanti dei tornei degli Slam, nei turni che provano ad avvicinarsi alla finale, non è mai la favorita. Gioca sempre molto bene, non vince quasi mai. C’è sempre qualcuno più forte di te. Ha passato una vita a migliorare il rovescio lungolinea, ma questo non basta. Quando arriva a New York per giocare l’ultimo Slam del 2015  ha ormai  deciso che non ce ne saranno altri.

 

[**Video_box_2**]A 33 anni bisogna avere il coraggio di guardare che cosa c’è oltre il tennis. Anche quest’anno nessuno ha scommesso su di lei, ma questo ormai sembra non avere più importanza. Tutto il mondo sta aspettando una finale tra la numero uno e la numero due del mondo, Simona Halep e Serena Williams. Flushing Meadows vuole celebrare il Serena’s Slam. Ma quando Flavia Pennetta scende in campo per giocare la semifinale contro la Halep capisce che non è obbligatorio perdere, non questa volta. Roberta Vinci giocando contro Serena Williams deve aver pensato la stessa cosa. Infatti vincono tutte e due. La finale degli Us Open di quest’anno è la stessa finale che si è giocata moltissimi anni fa in un campetto del Sud Italia. La Pennetta non aveva più di dieci anni, Roberta era più piccola e più coraggiosa. Quella volta vinse lei. Flavia ha gli stessi occhi impauriti di allora e stringe i pugni perché non sa cos’altro fare. Subito dopo aver vinto il tie break del primo set si batte il pugno dalle parti del cuore e urla: “E’ mio”. Ed è suo per davvero. Dopo un’ora e trentatré minuti di gioco e un diritto diagonale a cui la Vinci non riesce ad arrivare, Flavia Pennetta lancia la racchetta per aria e corre ad abbracciare Roberta. Si abbracciano a lungo. Non giocherà più a tennis, ma ormai non le importa più. Non esistono vittorie eterne, si ricomincia sempre da capo. 

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