Quest'anno la Premier è più stucchevole di un commento sul tennis di Aldo Cazzullo
Carpi. Sono molto preoccupato per il fegato di Jack O’Malley, lo confesso. Ho avuto la cattiva idea di seguire i primi turni di Premier league quest’anno, e più di una volta ho creduto di essere di fronte alle prove libere della Formula Uno, o qualche analogo supplizio post prandiale che alcuni irragionevoli imperterriti continuano a chiamare sport: attacchi di sonno continui mi hanno impedito di terminare in condizioni accettabili qualunque partita del campionato inglese abbia tentato di guardare. Qui ho capito l’amore di Jack per il brandy: solo massicce dosi di alcol possono far sostenere così a lungo che la Premier League sia il campionato più bello del mondo. Più retorico, forse, con la storia degli stadi belli e pieni, delle famiglie in curva, della rivalità che finisce al novantesimo e tutto quel riciclato di ovvietà che ormai pure i calciatori italiani ingaggiati da squadre inglesi sono costretti a ripetere per la gioia dei giornalisti malmostosi e la noia degli appassionati seri.
Mentre al di là della Manica si trastullavano per dieci giorni con il record di gol in Nazionale di Rooney, tutti decisivi come un cambio di Allegri nel secondo tempo, in Italia si dava libero sfogo al nostro vizietto di vincere – e bene – anche in altri sport. E qui c’è il dramma, però. Perché noi non siamo in grado di goderci le nostre vittorie, di celebrarle come lustro per il paese e giusto risultato dello sforzo dello sportivo di turno. No, noi dobbiamo subito dedurne qualche morale buona, trasformarle in esempi generali, usarle per addittare i vizi di questa o quella casta. Re incontrastato della moralizzazione coatta della società attraverso le imprese sportive nel weekend è stato Aldo Cazzullo, che su Roberta Vinci e Flavia Pennetta (sempre siano lodate) ha scatenato l’artiglieria retorica pesante, prima con una serie di elogi al sud Italia (che ritirerà al primo editoriale sul parassitismo della classe dirigente del meridione), poi con banalità sulle donne che riscattano lo sport e il paese. In mezzo c’è il provincialismo piccino di chi si esalta perché “i siti americani” fanno titoli con la parola “Roberta”, manco fossero la Loren agli Oscar, e naturalmente la lezioncina all’Italia “livorosa e rancorosa”, contrapposta – come in un attacco di diabete stile Edmondo De Amicis – all’Italia che non si limita a resistere ma avverte la necessità di ricostruire: radici, orgoglio, valori”.
[**Video_box_2**]Non può che essere un’Italia “che viene da lontano e va lontano, che ha i piedi ben piantati nella provincia profonda ed è capace di imporsi al mondo”. Livoroso contro i livorosi, forse solo per il poco spazio a disposizione Cazzullo ci ha risparmiato il paragone con gli italiani che con le valigie di cartone provavano a raggiungere New York per vivere una nuova vita (così simili ai migranti di oggi, naturalmente) e le due ragazze italiane che un secolo dopo hanno New York in ginocchio ai loro piedi. Molto meglio Gianni Clerici che, à la Jack O’Malley, in prima pagina su Repubblica ammetteva le sue pulsioni sessuali per Pennetta e ricordava – con una classe pari a quella di Giancarlo Magalli nudo nella vasca da bagno – di quando lei venne cornificata dal fidanzato.