Mario Balotelli (foto LaPresse)

Balo d'essai

Alessandro Giuli
Toh, chi si rivede, il ragazzaccio di pregio rovinato dal calcio mainstream. Buona la seconda. Balotelli si è appena ridestato dal letargo e dall’astinenza e adesso siamo qui a domandarci se possa durare, questa sua primavera fuori stagione.

Anvedi Balotelli. Si è appena ridestato dal letargo e dall’astinenza, ha incantato con quel bel gol su punizione a Udine, prestazione gagliarda, sportellate date e sportellate prese. E adesso siamo qui a domandarci se possa durare, questa sua primavera fuori stagione. Lui non si è smentito: torvo, astuto, bullo, massimamente introflesso, incapace di esultanza ma irascibile e derisorio con gli avversari, capriccioso coi compagni di squadra, coccolato a bordo campo dal carezzevole Mihajlovic che, col gilet da giostraro addosso, sembrava un domatore di pantere in trasferta circense. Balotelli c’è, e forse non è mai scomparso davvero, si occultava e ancora si nasconde spesso, aspettando che qualcuno lo faccia sentire un po’ meno importante, un po’ meno speciale. Normale, dopotutto. Servirà altro tempo.

 

Lui ci mette del suo, certo, è cafone ma non più di Fedez, pigro ma non più di un insegnante precario, anaffettivo come un adolescente trascurato che non sa come ottenere il risarcimento di cui si crede bisognoso. Insomma un italiano piagnucoloso fatto e finito, dotato d’infinite vite e risorse, dirompente espressione fisica delle nostre virtù neglette – coraggio ne ha tanto – e degli atavismi ipocriti (l’esiziale dialettica colpa/perdono, peccato/assoluzione). E allora, ma non per voler giustificare i suoi chiari di luna eh, il guaio di Balotelli è forse il contesto. Per esempio le aspettative che su di lui ha rovesciato il falso patriota collettivo ai tempi della Nazionale di Prandelli, raro esempio di calcio mainstream sul cui altare appunto Mario è stato immolato come l’esemplare egregio (ex grege, animale scelto) di super-eroe integrato, vindice dell’antirazzismo militante, icona (passatemi la parolaccia) dell’italiano nuovo e tutto immaginario, lui invece così tradizionalmente incardinato nello strapaese manzoniano, tra una lacrima sul viso per amori dozzinali e un parcheggio via l’altro in divieto di sosta. Ne hanno fatto un coscritto del dover essere qualcosa che non voleva o non poteva rappresentare, un uomo adulto, un calciatore maturo, un fuoriclasse da esportazione.

 

[**Video_box_2**]Adesso a Liverpool, dove il ragazzo è stato ripescato senza fatica dal Milan, si chiedono stupiti se davvero Balotelli sia in grado di centrare la porta dopo soli cinque tiri e non quarantanove, come accaduto nella passata e indigesta stagione. E lui di rimando bulleggia subito, insignorito da un paio di partite azzeccate: “Tra Italia e Inghilterra hanno parlato troppo, io sempre in silenzio. I difensori mi provocano sempre, tanto la palla non la vedono: o prendono il giallo o le mie gambe”. Rieccolo, dunque, il Balo d’essai che si vergogna di sorridere, ma poi gli scappa ed è un magnifico maramaldeggiare di fanciullo, mentre alle sue spalle Galliani si frega le mani sperando che questa sia la volta buona per vendemmiare grappoli di gol nel campo dei miracoli rossoneri. L’importante è non ricominciare con le pretese assurde, trattarlo per quello che è, un ragazzaccio viziato ma promettente, e non il manifesto animato di una poetica del riscatto.

 

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