La Russia rigetta le accuse di doping, ma fa dimettere il capo del laboratorio Wada di Mosca
Roma. Motori truccati, quelli russi, aumentati di potenza e di resistenza. Sostanze dopanti fornite agli atleti per vincere medaglie e titoli, per record e blasone di stato. Doping, conosciuto e taciuto, da tanti, sicuramente dalla federazione russa, forse anche dagli ambienti politici, addirittura dai servizi segreti. Questa è almeno l'accusa della World Anti-Doping Agency. Questo è almeno il contenuto delle 323 pagine del report pubblicato lunedì dalla commissione indipendente d’inchiesta con il quale l’agenzia chiede alla Federazione mondiale di atletica leggera (Iaaf) di sospendere per due anni gli atleti russi da qualsiasi competizione internazionale.
Accuse inizialmente rimandate al mittente dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov – “fino a quando non ci sono prove, è difficile reagire a qualsiasi accusa, che appare piuttosto infondata”. La Russia ha poi però annunciato l’avvio di un nuovo programma per il rilevamento di sostanze dopanti in modo da allinearsi agli standard mondiali. Un cambio di atteggiamento divenuto palese dopo la notizia delle dimissioni del direttore del laboratorio di Mosca accreditato con l’agenzia antidoping, Grigory Rodchenkov, una delle figure chiave attorno a cui si fondava l’accusa, e sinora sempre difeso dalle istituzioni. L’intervento del Comitato olimpico internazionale che ha sospeso il presidente della federazione internazionale di atletica leggera – la Wada lo accusava di essere al centro di un sistema di corruzione per tacere delle irregolarità – e chiesto la sospensione degli atleti indicati dal report, ha infatti accelerato le contromosse politiche.
La Russia come moderno Ecate, il dio greco che concede la vittoria agli atleti, dio che non è però specializzato nella giustizia o nella lealtà, non nella trasparenza o nel rispetto di regole morali. Ma nella magia. E magia poteva esserlo un tempo, ora è alchimia, soprattutto chimica. Quella che avallava senza frapporsi ad essa la federazione e il Comitato olimpico russo, almeno secondo l'accusa. Quella che non solo la Russia però permette perché il quadro è più complesso e le colpe non si possono affibbiare a una sola realtà. E' l'intero sistema sportivo ad essere messo in crisi.
"Il punto è questo: esiste una fondazione internazionale che è stata creata dal Cio per incentivare la ricerca di sostanze dopanti nel sangue e nelle urine degli atleti", dice al Foglio un delegato della Wada, "ma se poi non c'è un protocollo comune che unisca test, sostanze dopanti e modalità di controllo, come possiamo contrastare il fenomeno?". La domanda è lecita e mette in crisi l'interno sistema con il quale il mondo dello sport cerca di combattere il ricorso a sostanze illecite per migliorare le prestazioni. Al momento infatti esistono “paesi di serie A, paesi di serie B e paesi di serie C nella lotta al doping. Nei primi nulla è permesso, nei secondi nulla è permesso ma si chiude ogni tanto un occhio, nei terzi nulla è permesso e gli occhi sono chiusi tutti e due”. Perché se non esiste una normalizzazione delle pratiche di controllo, ogni paese può decidere all’interno dei propri confini di agire come crede, o meglio, di poter insabbiare a loro piacimento quei casi che andrebbero a penalizzare il loro movimento.
"Pensare che il problema sia solo russo vuol dire non aver letto il report", sottolinea un medico che per anni ha collaborato con il Coni. "I comitati olimpici nazionali sono coloro che dovrebbero mettere in pratica i metodi di lotta al doping, recepiscono le direttive della Wada e le mettono in pratica. Il punto è però come queste vengono messe in pratica". Se infatti i laboratori, anche quelli associati Wada, sono nelle mani dei comitati olimpici nazionali, è facile capire come questi possono essere manipolabili e utilizzabili ai fini diversi da quelli di una reale lotta al doping. Come rilevato dall'indagine dell'agenzia, almeno in Russia, si è verificato un intreccio di responsabilità che ha coinvolto tutto l'ambiente dell'atletica e che pone in evidenza proprio l'inefficacia di chi era preposto a controllare gli atleti, ossia il comitato olimpico nazionale. La sospensione della Wada della licenza al laboratorio di analisi di Mosca – e la radiazione del suo direttore – pone in primo piano il fulcro nodale dell'inconsistenza della lotta all'utilizzo di sostanze illecite.
Se parlare di doping di stato è però esagerato – il sistema Ddr è archiviato e ormai impraticabile – risulta però chiaro come esistano metodi diversi di controllo degli atleti e come senza una riforma generale del sistema sport non sarà possibile superare il problema. "Se non si cambiano le cose, se quindi non si va a riformare l'idea stessa di competizione sportiva e se le istituzioni non collaboreranno tra loro per la creazione di un organismo indipendente e soprannazionale che superi quelli di ogni nazione, parlare di lotta al doping sarà inutile. Anzi, si andrà anzi ad aumentare le disparità sportive".