Bosman e i suoi fratelli. Tutto quello che ha cambiato il calcio negli ultimi 20 anni
Jean-Marc Bosman lo scorso giugno ha perso il sussidio di 570 euro il mese che gli permetteva di sopravvivere con la madre di ottantacinque anni,che vive con lui, e con i due figli piccoli che lo raggiungono nei fine settimana. Il Cpas di Awans, piccola città alle porte di Liegi, dove è nato il 30 ottobre del 1964, l’ha convocato e davanti a quindici persone gli ha comunicato che non avrebbe più usufruito di quei soldi per il suo scarso impegno nella ricerca di un lavoro: negli ultimi anni infatti ha lavorato saltuariamente all’Ikea e in alcuni negozi di abbigliamento sportivo, ma niente di definitivo. Un aiuto lo ha avuto anche dal Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, che gli ha dato una mano per quello che poteva.
Jean-Marc Bosman è l’uomo che il 15 dicembre del 1995 ha cambiato il calcio mondiale: ha liberato per sempre i calciatori professionisti dal giogo dei club, li ha fatti diventare più ricchi, secondo alcuni più indipendenti, certamente più forti contrattualmente. Dopo aver giocato cinque anni nello Standard Liegi passò all’RFC Liegi e nel 1990 alla scadenza del contratto voleva trasferirsi al Dunkerque (Ligue 2 francese), che però non offrì una contropartita soddisfacente alla squadra belga la quale rifiutò il trasferimento.
Per quella disputa Jean-Marc Bosman fu messo fuori rosa e con l’ingaggio ridotto. Si rivolse alla Corte di giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, denunciando una restrizione al commercio. La battaglia legale, contro l’RFC Liegi, la Federcalcio belga e l’Uefa (che non ha mai brillato per progressismo), durò cinque anni e alla fine la corte stabilì che il sistema in vigore costitutiva una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori (calciatori) contraddicendo l’articolo 39 del trattato di Roma. La decisione fu storica e in sostanza dava la possibilità a tutti i giocatori Ue di trasferirsi gratuitamente a fine contratto e di firmare un precontratto con un altro club, se quello in essere aveva una durata residua inferiore o uguale ai sei mesi. Non solo. La sentenza imponeva a tutte le leghe dei paesi della Comunità europea di eliminare il tetto massimo di calciatori stranieri, imponendo così la libera circolazione di giocatori Ue, abbattendo di fatto le frontiere del football mondiale (visto che poi si è fatto a gara a ingaggiare atleti sudamericani con parenti europei per poterli tesserare come comunitari).
Da quel processo Bosman ottenne un milione di euro di risarcimento: il 33 per cento andò in tasse e il 30 per cento agli avvocati.
“La sentenza Bosman ha rappresentato un cambiamento epocale”, ha detto al Foglio Paolo Ciabattini, consulente Uefa per il benchmarking e autore del libro Vincere con il fair play finanziario: “Sino ad allora, le società più forti disponevano del futuro del giocatore che doveva accettare lo stipendio che gli offrivano. Venti anni fa, però, i fatturati erano quasi ridicoli se paragonati a quelli odierni, basti pensare ai diritti televisivi, alle sponsorizzazioni, al merchandising e al marketing. Oggi il fatturato di un club è decisamente più alto e complesso, ma se prima i calciatori rappresentavano la quota maggioritaria del patrimonio delle società adesso i loro stipendi valgono quasi i 2/3 dei costi totali delle stesse”. Di fatto sono passati da essere proprietà delle squadre di calcio ai procuratori e, nei casi peggiori, alle TPO, i fondi d’investimento che Uefa e Fifa stanno cercando di arginare: “Jorge Mendes fattura 80 milioni di euro l’anno, Mino Raiola 24, ma al calcio non danno niente, prendono e basta. Tra acquisti e rinnovi contrattuali un club può spendere anche dieci milioni a stagione per coprire il costo delle loro percentuali”, ricorda Ciabattini. Ragione per cui un giocatore come Pogba è costato alcuni milioni, anche se preso a parametro zero.
Secondo molti la sentenza Bosman ha avuto un’influenza negativa sui vivai. In Inghilterra nel 1995 i giocatori stranieri erano 178, oggi 436, in Spagna 262 e 327, in Germania 194 e 343, in Francia 264 e 345, in Italia 259 e 366. Spesso si è preferito il parametro zero comunitario a un giovane italiano e a poco sono servite quelle regole volte a garantire un numero minimo di atleti autoctoni, meglio ancora se provenienti dal vivaio: una di queste fu varata dall’Uefa il 21 aprile del 2005 ed è stata studiata per non entrare in conflitto con la sentenza Bosman. Questa estate la Figc ha promulgato la norma per cui le rose di serie A devono essere composte da 25 giocatori over 21, di cui 4 formati nel club e altri 4 formati in Italia (per chi in questa stagione non disponesse dei primi può averne 8 formati in altre società italiane).
Qualcosa è cambiato anche nel ranking Uefa: nel 1995 la Spagna era quarta, oggi prima; l’Inghilterra quinta, adesso seconda; l’Italia prima, ora quarta; il Portogallo sesto, ora quinto; la Francia seconda, ora sesta; solo Germania e Russia hanno mantenuto la stessa posizione, terza e settima. Un dato curioso post sentenza Bosman riguarda l’Ajax campione d’Europa proprio nel 1995, l’ultima volta che la squadra olandese ha vinto la Champions League. Nel giro di pochi anni la formazione titolare ha cambiato casacca andando a impreziosire le rose di Juventus, Milan, Inter e soprattutto Barcellona. La fine di un certo modo di pensare il calcio e le bandiere.
Jean-Marc Bosman ai tempi dello Standard Liegi con
Nel 1990 Jean-Marc Bosman va a giocare nell’isola Reunion prima con l’O. Saint-Quentin, poi col Saint-Denis. Torna in Belgio scendendo di serie con l’Olympic Charleroi e infine col Visé, lui che era stato capitano della Nazionale Under 21. Nessuna società belga voleva sentire parlare di lui e nessun calciatore ha mai pensato di dargli una mano. Aveva rotto l’incantesimo, l’equilibrio di un mondo chiuso in se stesso e che economicamente non aveva idea di come affrontare la novità. Ha avuto problemi di alcolismo e nel 2012 è stato condannato dal tribunale di Liegi a un anno di carcere per violenza domestica ai danni della compagna e della figlia di lei. Un principio e una gloria pagati a caro prezzo, verso un oblio senza ritorno dal quale emerge ogni volta che si avvicina l’anniversario di quella sentenza. Il più famoso dei suoi avvocati, Jean-Louis Dupont, esperto di diritto comunitario, è stato patrocinatore di alcuni club contro l’Uefa e il Fair Play Finanziario, così come della lega spagnola e di quella portoghese contro la Fifa sulla questione Third-Party Ownership.
[**Video_box_2**]Il calcio, comunque, resta uno sport in continua evoluzione. Soprattutto se incapace di autoregolarsi e costretto a farlo ogni volta che un tribunale civile interviene. Come nel caso di Heinz Müller, portiere del Mainz (Bundesliga) che scaduto il contratto voleva che gli fosse rinnovato a tempo indeterminato. Il giudice gli ha dato ragione equiparandolo agli altri lavoratori, insomma come se adattassimo la legge Biagi al calcio. Nella pratica ogni club si potrebbe vedere costretto a tenere a libro paga i calciatori a vita, pensione compresa, pur nell’evidenza che i guadagni di questi non potranno mai essere equiparati a quelli di un normale lavoratore. Dal 1995 a oggi nella Premier League lo stipendio medio dei giocatori è salito da 100.000 sterline a oltre due milioni l’anno. In Italia, nel frattempo, il calciatore minorenne A.B. viene tesserato con il vincolo pluriennale, la squadra non si iscrive al campionato di appartenenza e il ragazzo decide di cambiare società, per farlo però deve pagarsi il cartellino (pratica diffusissima nel calcio dilettante). I genitori si sono rivolti al tribunale che gli ha dato ragione contestando la mancanza dell’autorizzazione del Giudice Tutelare sul contratto. Quali scenari potrà aprire questa sentenza, che risale allo scorso maggio, non sono ancora del tutto chiari, soprattutto sulla tenuta economica dei settori giovanili.
Infine c’è l’articolo 17 dello statuto Fifa, che deriva dalla sentenza Bosman e che di fatto permette a un calciatore di svincolarsi senza giusta causa, secondo precisi parametri, temporali ed economici. Se n’è avvalso per primo lo scozzese Andy Webster contro gli Hearts of Midlothian nel 2006, con qualche difficoltà prima di tornare a giocare. Da allora molti altri calciatori se ne sono serviti, anche se in queste ultime settimane il procuratore di Higuain ha detto che il suo assistito non ricorrerà all’articolo 17, tranquillizzando più il Napoli che i tifosi. Intanto, il FIFPro si è rivolto alla Commissione europea per affermare la libertà di un calciatore di trasferirsi con un preavviso di tre mesi senza alcun compenso per il club, come ogni altro lavoratore, azzerando così il calciomercato. Leonardo Grosso, membro del comitato esecutivo del FIFPro e presidente uscente, qualche tempo fa ha dichiarato: “La nostra posizione è ovvia, quasi banale: oggi lo squilibrio tra calciatori e società è tutto a favore di queste ultime e la situazione non è sostenibile. Se un club vuole liberarsi di un calciatore prima della scadenza basta che gli paghi lo stipendio residuo. A questa cifra, però, si deve sottrarre lo stipendio che il calciatore andrà a guadagnare nel nuovo club. Il risultato? Le società non pagano quasi mai un soldo”. E noi che pensavamo che Bosman li avesse liberati per sempre.