Chi è Jérome Champagne, il francese candidato alla presidenza della Fifa
La Francia, nella storia, ha avuto due presidenti Uefa e due Fifa, le figure di spicco rispettivamente Michel Platini e Jules Rimet. Fa quindi scalpore che il connazionale Jérome Champagne non abbia ricevuto nemmeno l’appoggio della locale federazione, che indirizzerà il suo voto su Gianni Infantino. L’incontro in una fabbrica di birra del sedicesimo arrondissement di Parigi con il presidente della FFF, Noël Le Graët, per avere un chiarimento sarebbe finito addirittura a pesci in faccia. Champagne ha contestato la decisione di appoggiare l’italosvizzero al che Le Graët avrebbe risposto “Sei un uomo piccolo, fottiti” e di fronte alle rimostranze del candidato francese Noël Le Graët si sarebbe congedato con un laconico “Vaffanculo”, prima di pagare il conto (fonte, leparisien.fr). Pare che ai membri del comitato esecutivo della federazione francese chiamati a esprimersi su quale profilo appoggiare sia arrivato solo il programma di Gianni Infantino: “Ho appreso con stupore della procedura e del fatto che l’unico candidato francese non ha avuto nemmeno la possibilità di presentare il proprio manifesto ai connazionali”, ha chiosato Champagne.
Jérome Champagne, nato a Parigi il 15 giugno 1958, è stato segretario generale aggiunto e direttore delle relazioni internazionali della Fifa dal 2002 al 2010, probabilmente la figura più interessante tra i cinque candidati, anche per la sua visione del calcio. Per alcuni avrebbe dovuto prendere il posto di Platini alla presidenza Uefa, ma paga caro essere stato delfino di Sepp Blatter, del quale condivide ancora idee e strategie, nonostante sia stato proprio lui a non volerlo più al suo fianco. Ex giornalista di France Football, che nelle ultime settimane gli ha fatto da sponda, ha come unici alleati l’Ungheria e il Kosovo, mentre il suo più acerrimo nemico è il comitato esecutivo dell’Uefa, che vede come il fumo negli occhi l’idea di ridistribuire la ricchezza della Fifa; considerando che le venti squadre più ricche valgono 6,2 miliardi di euro mentre la metà delle 209 associazioni sopravvive con meno di 2 milioni l’anno. E i soldi ci sono, perché, nonostante i 100 milioni di debiti, la gestione Blatter avrebbe lasciato nelle casse riserve per 1,3 miliardi, inchiesta dell’Fbi permettendo.
Il suo manifesto ha un nome immaginifico Hope for Football e prevede l’introduzione della tecnologia per aiutare gli arbitri, crescita del calcio femminile, quote rosa nella governance della Fifa, standard amministrativi da settore pubblico (francese) con open data per stipendi e documenti. Si batte per mantenere i Mondiali a 32 squadre ed è favorevole alla creazione di nuove federazioni indipendenti per far crescere il movimento, soprattutto dove ci sono difficoltà geografiche e politiche. L’idea più forte è quella di finanziare la costruzione di 400 nuovi stadi nei prossimi quattro anni in giro per il pianeta, ovviamente in quei Paesi che hanno maggiori difficoltà economiche. È assolutamente contrario alla deriva NBA del football europeo, in particolare, e mondiale, ma così rischia solo di fare la figura del Don Chisciotte contro i mulini a vento di un sistema finanziario apparentemente inattaccabile. Non ha alcuna chance di vincere e probabilmente uscirà al primo scrutinio, ma al netto della stigmate che gli ha lasciato Blatter sentiremo ancora parlare di lui.
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