Chi è Tokyo Sexwale, il sudafricano che punta alla presidenza della Fifa
La storia politica e sportiva di Tokyo Sexwale ne potevano fare il simbolo di un’Africa nuova e vincente, prima che la Caf gli voltasse le spalle appoggiando lo sceicco Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa. D’altra parte dividere i due continenti più grandi in termini di territorio e voti avrebbe spalancato la vittoria a Gianni Infantino e sulla forza, soprattutto economica, del bahraini non si discute. Nel 1970 diventa membro dello Steve Biko’s Black Consciousness Movement e successivamente sconta tredici anni di prigione a Robben Island, insieme a Nelson Mandela. Amante del calcio sin da piccolo è stato segretario generale dell’associazione che ha dato vita alla Makana Football Association, diventata socio onorario della Fifa nel 2007; membro del comitato organizzatore dei Mondiali sudafricani del 2010, è presidente del Comitato di sorveglianza Israele-Palestina per la Fifa. Alla carriera sportiva si aggiunge pure quella politica. Figura di primo piano dell’African National Congress dal 1994 al 2010, è stato ministro del governo Zuma dal 2009 al 2013. Presidente della società mineraria Mvelaphanda Holdings, sponsor della Mvela Golden League, è direttore non esecutivo di Barclays Africa. Laureatosi in commercio durante la sua permanenza a Robben Island, ha diverse lauree honoris causa, possiede una formazione militare ed è un colonello onorario dell’Air Force sudafricana. Coinvolto in alcuni gruppi di lavoro bilaterali per le attività commerciali, presiede varie fondazioni con scopi filantropici.
Nato a Soweto il 5 marzo 1953 Tokyo Sexwale è una figura poliedrica e discussa. Un centro di giornalismo investigativo sudafricano mette in guardia dalla mancata trasparenza del suo giro d’affari e dalla caratura poco raccomandabile dei suoi partner commerciali, come se la Fifa non avesse già abbastanza problemi. L’ex compagno di carcere di Mandela, però, è rimasto più male quando la Caf ha appoggiato il candidato dell’Afc, nel suo sito parla di vergogna e stigmatizza come ridicolo l’atteggiamento degli africani, gli unici (insieme ai francesi) a non appoggiare il candidato naturale, con una foto che ritrae due diti medi in grande evidenza. No, non la presa bene per niente. Le uniche federazioni che si sono schierate al suo fianco sono quelle di Lesotho, Mozambico, Sudafrica, Swaziland e Zimbabwe, contro tutte le altre. Il giornalista sudafricano S’Busiso Mseleku, su sport24, si è chiesto cosa ci sia dietro l’operazione Salman Bin Ebrahim Al-Khalifa delle federazioni africane, adducendo sospetti, conflitti d’interessi, cercando di ridicolizzare i luoghi comuni puntati contro Tokyo Sexwale e augurandosi elezioni veramente libere. A poco, comunque, serviranno il sostegno di Franz Beckenbauer, che lo stima apertamente, e la sua lotta senza quartiere al razzismo, lanciando nel 2014 Global Watch con il supporto della Fifa.
Un politico che vorrebbe condurre il governo del calcio mondiale come un’azienda (idea non nuova), entrando in aperto conflitto con l’attivismo dei main sponsor (Coca-Cola e Budweiser in testa) su elezioni e rinnovo della carica presidenziale, elogiando invece l’atteggiamento di Adidas, che guarda caso è sponsor pure di Camp Beckenbauer. Elezioni contestuali di presidente e membri del comitato esecutivo, autorizzare gli sponsor sulle maglie delle nazionali e aiutare la crescita del calcio in Cina, India e, ovviamente, Africa, sono gli elementi portanti del suo manifesto. Come Jérome Champagne non ha alcuna possibilità di essere eletto, ma ha forse qualche voto in più da barattare e se l’Oceania dovesse lasciare libertà di coscienza alle proprie federazioni ogni testa assumerà un’importanza vitale su una bilancia che appare molto equilibrata.
Il Foglio sportivo - In corpore sano