La nuova Fifa tra burocrazia e luoghi comuni
Londra. Domenica a Wembley, lo stadio pieno in ogni ordine di posto direbbe una radiocronaca Rai, si è giocata la finale della Capital Cup, che voi da quelle parti chiamate volgarmente Coppa di Lega. Si affrontavano il Liverpool di Jürgen Klopp e il Manchester City di Manuel Pellogrini. Alla fine hanno vinto i Citizens – risultato prevedibile dato che Klopp è l’allenatore perfetto per la Juventus: perde tutte le finali. Scorrendo i profili italiani sui social network mi sono accorto di non essere stato l’unico a essermi reso conto che ci sono state più occasioni da gol in quella partita che in tutti gli ultimi cinque turni di serie A. Forse i più sobri tra voi lo ricorderanno, ma a inizio stagione ho avuto una sbandata, probabilmente dovuta a una partita di brandy scaduto che mia moglie mi aveva regalato. Dicevo che il campionato inglese era ormai decotto, poco eccitante, e che quello italiano finalmente divertiva. Mi è bastato aspettare qualche mese per vedere il cadavere della serie A galleggiarmi dinnanzi a colpi di partitacce inguardabili, italiane eliminate dalle coppe europee (e poi rompete le palle a noi con la Brexit), orridi pareggi giocati in stadi vuoti, con più gente schierata in difesa che sugli spalti.
Vanessa Martins, moglie di Willian, è inciampata in casa. Proprio come Van Gaal a bordo campo durante Manchester United-Arsenal. Uguali uguali.
In Premier League invece si assiste a una lotta niente male, là davanti: il Leicester che ha smesso di essere “favola” e ha iniziato a crederci sul serio (il gioco che concede poco agli avversari ha un senso, non sono mica scemo, e nel caso di Ranieri ce l’ha: è in tanti altri che è l’equivalente di una pressa sui marroni). Dietro di loro si gioca uno dei derby più belli di Londra (anzi, il più bello), quello tra Arsenal e Tottenham. I Gunners, come sempre quando sembrano pronti al grande salto, sono stati sconfitti 3-2 dal Manchester United all’Old Trafford, in una partita che potrebbe avere segnato l’inizio di una carriera niente male, quella di Marcus Rashford. Diciotto anni, nato dalle parti di Manchester, ha esordito in prima squadra giovedì sera in Europa League contro il Midtjylland segnando subito una doppietta, per poi ripetersi in campionato tre giorni dopo contro la squadra di Wenger. Adesso che tutti parlano di “favola” e altre cazzate mi viene voglia di fare l’elenco dei giovani che al loro esordio in prima squadra hanno segnato per poi scomparire nel giro di poco inghiottiti da alcol e figa. Non lo auguro a Rashford, anche se sarebbe un’ottima fine.
[**Video_box_2**]Chi ha fatto una brutta fine – ma la scelta era tra la peste e la scabbia – è la Fifa, che venerdì scorso ha onorato le votazioni del nuovo presidente come i milanesi onorano l’aperitivo, trasformandole in luogo comune. E’ stato eletto Gianni Infantino, burocrate calvo nonché svizzero un tempo tirato fuori dall’armadio per fare i sorteggi di Europa e Champions League in diretta tv assomigliando più a un Muppet che a un dirigente. La vocazione da pupazzo era nel sangue, tanto che è riuscito a unire le due anime belle del calcio mondiale: fedelissimo da sempre di Michel Platini, è stato salutato da Sepp Blatter come colui che porterà a compimento il suo programma. Tra le puttanate già annunciate da Infantino, la volontà di trasformare il Mondiale in un torneo da 40 squadre, con San Marino e Gibilterra che già sperano durissimo. Come nel migliore dei manuali di conversazione, gli italiani subito hanno esultato per le sue origini italiane, e la prima intervista fatta è stata per buona parte incentrata su questo: lui, che è furbo, ha dato in pasto ai giornalisti tutti i luoghi comuni del caso: il papà meridionale, la mamma del nord che “ancora sta piangendo” per la notizia della sua elezione – e sicuramente sta preparando un bel piatto di polenta fatta in casa – il passato fatto di umili lavori e il rispetto per le persone imparato sulla propria pelle. Tutti contenti, pure Tavecchio. Meno, a quanto pare, il Coni, che avrebbe preferito lo sceicco Al Khalifa per ottenere la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Così almeno ci sarà una scusa buona per lamentarsi quando verrà scelta un’altra città.