#BigHello serie A
Liverpool. E va bene, l’arbitro ciccione ha combinato un casino domenica a Leicester, ma non ho bisogno di essere laureato in psichiatria per sapere cosa passa per la testa di Claudio Ranieri in queste ore, ed è riassumibile con un “oh, shit”. Quando domenica contro il West Ham, in vantaggio per 1-0, la squadra allenata dal manager italiano si è vista ridurre in 10 per una decisione arbitrale che probabilmente non avrebbe preso neppure Rizzoli ubriaco dopo una serata in discoteca con Bonucci, in tanti abbiamo pensato che fosse finita, che l’espulsione dell’uomo simbolo dei Foxes, Jamie Vardy, fosse come il gol di Pazzini che qualche anno fa tolse lo scudetto alla Roma allenata da Ranieri. Così non è stato, o almeno non ancora. Il rigore all’ultimo dei minuti di recupero che ha permesso al Leicester di pareggiare contro il West Ham tiene in piedi la baracca. Ma se fossi in Ranieri continuerei a tenere le mani sul cavallo dei pantaloni, non si sa mai. A proposito di West Ham, non oso immaginare il panico dei tifosi degli Hammers alla sola idea di avvantaggiare i nemici del Tottenham. E qui dirò qualcosa di poco mainstream, fottendomene come al solito. Più ci penso più sto con gli Spurs. Intendiamoci: sono felicissimo se il Leicester vincerà la Premier League, meritando il titolo come nessuno lo avrebbe meritato, è una favola che insegna che i soldi non sono (ancora) tutto e bla bla bla. Però. Provate a immedesimarvi nel Tottenham: da anni navighi tra il quinto posto e la metà classifica, fai qualche partecipazione all’Europa League, persino alcune comparsate in Champions, ma naturalmente tutte quelle “grandi” lì davanti ti lasciano le briciole. Poi succede che un anno Manchester United, Manchester City, Chelsea e Arsenal sbagliano tutto in campionato. Tu hai una squadra che cresce di anno in anno, giochi bene e vinci. E’ il tuo anno, quello che può farti tornare tra le grandi. Ma sei così sfigato che è anche l’anno della favola, della sorpresa, della sfavorita che diventa favorita, e tutti parlano dell’altra, diventata figa per caso, e non di te. Probabilmente arriverai secondo, e nessuno si ricorderà di te. Celebreranno la favola, riversando ettolitri di lacrime e tonnellate di retorica su di essa, dimenticandoti. L’anno prossimo le grandi non falliranno stagione, tu tornerai là dietro, e quando tra venti, trent’anni si parlerà della memorabile stagione 2015/2016, racconteranno le imprese dell’operaio Vardy e dell’italiano Ranieri. “Chi arrivò secondo quell’anno?”, chiederanno i nipoti ai nonni. “Non ricordo. Una squadra di Londra, mi pare”. Come non si può provare subito un’immensa, amara simpatia per il Tottenham?
Tendo a diffidare di chi è sempre pronto a elogiare il calcio pane e salame, a esaltare la semplicità di chi gioca a calcio per passione e amore e non per soldi, a chi ripete che la tv ha rovinato questo sport e lo dice puntando il proprio telecomando verso il decoder satellitare e indossa ancora le mutande della sera prima. Posso capire il tifoso, che rimpiange il passato convinto che fosse il calcio a essere migliore, e non sa che quel che gli manca è in realtà la sua giovinezza, e che tutt’al più era lui a essere migliore (certamente più magro, e con più capelli). Trovo ridicolo quando a fare questo discorso sono giocatori e dirigenti. Ho saputo con gioia che il Parma ha vinto il campionato Dilettanti e l’anno prossimo giocherà in Lega Pro. Bene, e bello anche vedere lo stadio pieno per una partita di una serie minore e tutto quanto. Ma confesso che avrei fatto volentieri a meno di leggere le dichiarazioni di Alessandro Lucarelli. Il capitano dei gialloblù, eroicamente rimasto dopo il fallimento, si lancia nel più classico dei luoghi comuni (pari solo al “ciclo finito” con cui tutti descrivono il crollo del Barcellona in questo periodo. Tra l’altro, non potete nemmeno immaginare come mi dispiace): “Il calcio mi aveva schifato – ha detto Lucarelli alla Gazzetta – non ne potevo più degli intrallazzi, delle bugie, delle promesse non mantenute. Il campionato tra i Dilettanti mi ha riconciliato con il mio mondo. Ho riscoperto valori, ho rivisto gente che gioca solo per passione. Finalmente la parola ‘business’ è sparita dalla mie orecchie”. Ma che bello, eh? Per non parlare della morale che Lucarelli trae dalla stagione: “Quando c’è la passione si può arrivare dappertutto”. Che esempio. Permettetemi di dubitare, però. Dire queste cose a quasi 39 anni, dopo una carriera passata tra serie A e B, guadagnando bene, non mi pare così difficile. Sarei curioso di sentire uno a caso dei giocatori del campionato Dilettanti dire che preferisce i “valori” del calcio minore al “business” della serie A, vorrei sentire uno a caso dei mille attaccanti sovrappeso che calcano da un decennio i campi brutti e tristi delle categorie inferiori spiegarci che con la passione si può arrivare dappertutto.
Il marito di Oksana, l’ex calciatore Christian Wilhelmsson, ha giocato anche nella Roma. Lei, come si vede nella foto, sta soppesando le ragioni di Totti e Spalletti
Dato il timore di non arrivare in serie A nonostante la passione, c’è chi si premura di arrivare per lo meno sui giornali: a Cernusco Lombardone, in provincia di Lecco, in una partita del campionato provinciale juniores l’arbitro è stato picchiato dal capitano di una delle due squadre dopo avere assegnato un rigore. La cosa simpatica, si fa per dire, è che lo scorso era il weekend “contro la violenza nei confronti degli arbitri”. Questo per ribadire che non saranno i weekend dedicati ai “valori” a cambiare il calcio. E neppure le dichiarazioni degli ex campioni a fine carriera.