Carattere da campione del mondo: così Gilardino ha zittito Zamparini
Sono passati dieci anni ormai, i sopravvissuti sul campo sono sempre di meno eppure servono ancora. Sono i reduci di Berlino 2006, quelli che hanno sollevato l'ultima Coppa del Mondo con colori azzurri. E che oggi, a dispetto dell'età e degli acciacchi, tengono ancora botta, a dimostrazione che in quella squadra il carattere era il vero motore, molto più della tecnica e molto più della tattica.
Di Gigi Buffon quest'anno si è detto e scritto di tutto: gli si può solo augurare di arrivare al 2018 e di poter diventare l'unico giocatore ad aver partecipato a sei fasi finali di un Mondiale. Di Alberto Gilardino si erano invece perse le tracce. Non tanto quando si era congedato dal Milan, dove era arrivato nel 2005 come il centravanti che avrebbe garantito gol e successi, per andarsene via tre anni dopo, insalutato ospite. Tra Firenze, Genoa e Bologna aveva fatto il suo, assicurando buoni piazzamenti e qualificazioni Champions oppure salvezze relativamente tranquille. Era piuttosto scomparso quando aveva deciso di volare in Cina e di portare un po' del calcio italiano laggiù, ricevendo in cambio ricchi assegni. Una scelta durata lo spazio di un campionato, appena assaggiato e subito abbandonato per un ritorno in prestito alla Fiorentina, anch'esso insapore. In estate la scelta di andare a Palermo, città da sempre generosa con i centravanti, da Luca Toni in poi. Un'esperienza massacrata da un'alternanza di allenatori talmente vorticosa da mandare in confusione anche le personalità più solide e da una serie di risultati tale da far perdere la speranza pure al più convinto dei tifosi. Gilardino ha avuto la forza di non smarrirsi, come aveva fatto al Milan, quando lo accusavano di non saper più trovare la porta, oppure come aveva ripetuto alla Fiorentina, quando lo consideravano ormai buono per la pensione. Più forte anche delle parole dell'ineffabile Maurizio Zamparini, che ha un modo tutto suo di infondere fiducia nei suoi dipendenti: “E' un gran giocatore, ma Palermo non è la piazza giusta per lui”, aveva chiosato in maniera curiosa (chi li sceglie i calciatori al mercato?) non più tardi di febbraio. Oggi appare vero il contrario. Ossia che Gilardino sia il giocatore giusto per Palermo. Come raccontano i nove gol realizzati, l'ultimo domenica nella vittoria a Frosinone che ha riacceso una flebile speranza per la salvezza. Con carattere da campione del mondo, come si addice a uno nato il 5 luglio 1982, il giorno di Italia-Brasile 3-2 al (fu) Sarriá di Barcellona.
E con i gol (sette) Kamil Glik aveva abituato benissimo lo scorso campionato i tifosi del Torino. Ora non ce ne voglia il polacco, ma prendiamo lui come parte del tutto, ovvero come immagine di ciò che è quest'anno il Torino. Glik, per quanto riguarda le reti, è fermo a quota zero: era il re delle palle inattive in area altrui, ora gli avversari lo canzonano ogni volta che si presentano nei sedici metri granata. Vedi Peluso sul 2-1 del Sassuolo di domenica pomeriggio. Ma, soprattutto, il capitano appare svuotato, come tutta la squadra. Ogni tanto qualche guizzo, qualche barlume di vita, come il successo sulla Fiorentina a inizio stagione e quello sull'Inter a inizio mese. Per il resto un campionato anonimo, fatto di prestazioni sottotono e di presenze troppo timide. Proprio quello che non vuole il tifoso granata, disposto a perdonare anche la più bruciante delle sconfitte a patto che sul campo si sia dato tutto. Non è retorica, questa. E' la storia di una squadra che aveva fatto del coraggio e del tremendismo un capitolo importante della propria esistenza, anche nei momenti più bui. E perdere quasi senza combattere contro il Sassuolo, nel giorno in cui lo stadio Olimpico prende il nome di Grande Torino, non fa onore.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA