Non c'è alternativa alla Juventus in Italia. Più che il campo, lo dice la finanza
La Juventus lunedì ha conquistato in differita il quinto scudetto di fila. Merito di un filotto vincente da record (73 punti in 25 partite) dopo un avvio sofferto; merito di una difesa a tratti insuperabile; merito anche di avversarie che si sono perse per strada: prima il crollo dell'Inter, poi della Fiorentina, infine del Napoli. Le presunte rivali allo strapotere bianconero degli ultimi cinque anni sono evaporate man mano che il campionato avanzava: nessuna ha retto la risalita della squadra di Allegri. Non che questo tolga meriti – evidenti – alla Juventus, ma ciò rende palese una considerazione generale sulla salute del movimento calcistico italiano: mancano alternative credibili ai bianconeri. E non solo in campo.
La festa scudetto dei bianconeri negli spogliatoi del centro sportivo
Gli ultimi dati stilati da Deloitte sui ricavi delle società professionistiche evidenziano uno stacco netto tra la Juventus e i suoi rivali per la serie A. Nell'ultima stagione i bianconeri hanno fatturato 323,9 milioni di euro, decima squadra al mondo per bilancio, il Milan 199,1, la Roma 180,4, l'Inter 164,8. Un divario sostanzioso dovuto sia allo stadio di proprietà, sia soprattutto a una strategia di marketing e merchandising ben più avanzata rispetto a quelle messe in atto dalla quasi totalità delle formazioni italiane. A contare sono certamente il brand e l'elevato numero di tifosi, ma la differenza rispetto alle rivali la fa una gestione lungimirante dei rapporti commerciali con gli sponsor. La Juventus svetta nella classifica italiana alla voce ricavi sia per quanto riguarda il marketing (63 milioni) sia in fatto di sponsorizzazioni (23,25 milioni all'anno solo dall'Adidas), bonus, merchandising (il club gestisce autonomamente la strategia e la vendita di ogni oggetto marchiato Juve, anche quello che solitamente le altre squadre lasciano alle aziende di vestiario sportivo) e ricavi dall'estero. Insomma una gestione europea della società, unico caso in Italia.
I meriti della società di Corso Galileo Ferraris non sono però solo finanziari. A livello sportivo la dirigenza si è mossa con oculatezza e precisione. L'acquisto di Paul Pogba senza sborsare un euro al Manchester United nel 2012 – ora valutato oltre 100 milioni di euro – è solo il caso più eclatante di una strategia di mercato di spese oculate e capacità di analisi del mercato italiano e internazionale. La Juventus in questi anni ha speso molto perché poteva spendere grazie ai ricavi, ma ha anche speso bene, valorizzando gli acquisti fatti ed effettuando in alcuni casi anche sostanziose plusvalenze (ossia un ricavo maggiore dalla vendita di un giocatore rispetto al prezzo di acquisto dello stesso). Vidal, Berardi (poi riacquistato), Immobile, Coman, Matri ecc. hanno fruttato oltre 50 milioni di euro da mettere a bilancio.
I successi della gestione economico-sportiva della Juventus, oltre a evidenziare la bontà della gestione post Calciopoli, mette a nudo l'inadeguatezza del calcio italiano, ormai incapace di competere nella gestione sportivo-amministrativa con i più prestigiosi club europei.
L'esterno dello Juventus stadium (foto LaPresse)
Se si prende in considerazione il fatturato complessivo dei maggiori campionati europei, la serie A è solo al quarto posto, con un giro d'affari di solo 1,69 miliardi: nemmeno la metà di quanto fattura la Premier League. Un distacco abissale che rende difficile alle formazioni italiane investire per diminuire il gap con le migliori formazioni europee.
Se gli osservatori internazionali spiegano che a penalizzare il calcio italiano sono i bassi investimenti societari, un'alta esposizione debitoria e la vetustà degli stadi, la distanza tra Juventus e le altre società sta proprio nel fatto che i bianconeri sono riusciti a risolvere queste problematiche in maniera autonoma, mentre gli altri club al momento si barcamenano ancora nel tentativo di capire quale sarà il loro futuro aggrappati ai ricavi provenienti dalla coppe europee.
L'elevata burocratizzazione rende l'Italia difficilmente appetibile agli investimenti stranieri. Secondo un'analisi di Deloitte siamo infatti addirittura al settimo posto per appetibilità: davanti a noi anche Portogallo, Olanda e Turchia.
Tutto ciò non solo ha reso evidente l'assoluta mancanza di alternative credibili alla Juventus, ma ha palesato anche una generale mancanza di alternative alla stagnazione del calcio italiano. I continui litigi dirigenziali tra grandi e piccole società sulla riforma necessaria sulla vendita dei diritti televisivi, la mancanza di un piano per sfruttare i nuovi canali (internet, social network) stanno rendendo ancora più marcata la distanza con gli altri campionati europei. Mentre la Premier League sfrutta ogni possibile mercato per allargare il bacino del tifo (soprattutto all'estero), in Italia si è ancora legati alla Legge Melandri e alle sue ripartizioni obsolete (parti uguali: 40 per cento; numero sostenitori: 25; numero cittadini: 5; risultati dell’ultima stagione: 5; risultati dell’ultimo quinquennio: 15; risultati dal 1946/47 all’ultimo quinquennio: 10). Una riforma dei diritti tv però non potrebbe bastare a risollevare il nostro pallone. Servirebbe un cataclisma istituzionale: "Lasciar dare sfogo al capitale", aveva indicato il Financial Times nel 2012. Forse è ora di dargli ascolto.