Kittel abbatte tutti, pure i comunisti al Giro d'Italia
Il velocista tedesco ottiene il secondo successo consecutivo e indossa oggi anche la maglia rosa. Ma il protagonista della giornata è il sudafricano Johan Van Zyl, 185 chilometri in testa, ripreso a millecinquecento metri dall'arrivo. C come comunisti; C come Cipolini.
Terza tappa, Nijmegen-Arnhem, 190 chilometri – Arnhem oggi come Nijmegen ieri. Marcel Kittel oggi, come Marcel Kittel ieri. Primo. Solo. Braccia alzate. Metri di distacco. Il gigante tedesco fa bottino pieno, seconda vittoria e questa volta maglia rosa. Il rientro in Italia non poteva essere migliore per lo sprinter che ottiene così la quarta vittoria su quattro sprint disputati al Giro. Quattro su quattro all’estero. A Catanzaro martedì sarà novità. Auguri.
Supremazia tedesca d’inizio corsa. Il contorno è italiano: Elia Viviani secondo, Giacomo Nizzolo terzo. Il finale è thriller: l’inseguimento del gruppo è disperato, si realizza a millecinquecento metri dallo striscione d’arrivo. Kittel è vincitore, certo, ma è Johan Van Zyl, venticinquenne di Kaapstad, Sud Africa, il protagonista del giorno. Quattro ore all’attacco, il sorriso spento dalla voracità degli sprinter.
Davanti Giacomo Berlato e Maarten Tjallingii ripetono la giornata di ieri: fuga e vento, minuti avanti al gruppo per quasi tutto il giorno. Assieme a loro lo spagnolo Julen Amezqueta e il sudafricano. Gli avanguardisti accelerano subito, salutano il gruppo dopo appena cinque chilometri, se ne sciroppano oltre 180 in testa. L’ultimo a cedere è Van Zyl che allunga ai meno 12 dall’arrivo, che picchia duro sulle pedivelle, che costringe il gruppo a lavorare di ardore e disperazione per chiudere il buco. Il rientro nei ranghi è beffardo, nemmeno duemila metri all’arrivo, 185 d’avanguardia, nessuna forza per maledire la malasorte.
C come COMUNISTI – Essendo il ciclismo uno sport di popolo non si capisce perché sul tragitto della corsa si vedano solo bandiere della Lega, del Leone di Venezia, dell’indipendenza della Corsica, della Sardegna, dei baschi, della Catalogna. Non c’è una bandiera comunista. A questo punto oggi con trenta figuranti (da me pagati senza soldi pubblici) ci siamo messi sul percorso della tappa a sventolare le bandiere del nostro movimento Comunisti per l’Europa. Ora dobbiamo pensare a cosa fare. Forse diventiamo popolari Europei. Speriamo in ogni caso che qualche ragazza che ci ha visti in tv ci abbia notato e ci chieda in sposo. Anche se non è di sinistra noi accettiamo.
C come CIPOLLINI – L’Olanda è pianura, panorama piatto. Nel ciclismo tutto questo significa una cosa sola: volata. Ogni sprint è tumulto. Un azzardo a settanta all’ora. Biciclette lanciate a velocità folle su di copertoni di ventitré millimetri, spinte da gente intrepida che ha un solo comandamento: se passano le spalle passa tutta la bici. E’ fisica: il manubrio è la parte più larga del mezzo, se si apre un varco il resto è conseguenza. I velocisti sono una razza particolare di ciclisti, attendono centinaia di chilometri per poche centinaia di metri di fiammata. E’ equilibrio e incoscienza perché ce ne vogliono a palate entrambi per affrontare curve e avversari a tutta. Sino a Van Looy, corridore belga degli anni Sessanta, le volate erano anarchia, un tutti contro tutti, confusione e fuoco incrociato. Rik era il re, imperatore: voleva assoluta disponibilità dai suoi uomini, li metteva a tutta davanti ad aprirgli il vento, a lanciarlo allo sprint. E’ il cosiddetto treno, serve a evitare la confusione delle ultime centinaia di metri, a spianare la strada al capitano. Van Looy fu l’apripista, Mario Cipollini il più grande interprete. Il Re Leone apparve a tutti ai 250 metri dall’arrivo della 12a tappa del Giro del 1989, Mantova-Mira, 148 chilometri. Quando si alzò sui pedali per sprintare a tutti fu chiaro che qualcosa di incredibile stava accadendo. Quella è la prima delle sue 42 vittorie al Giro, record assoluto. Super Mario però non si limitò a vincere, cambiò per sempre le volate: i suoi compagni si trasformarono in guida del gruppo per gli ultimi chilometri, erano macchia di colore uniforme, apripista. Non solo. Rivoluzionò anche l’immagine del ciclismo. E’ stato il primo ciclista a diventare icona pop, a occupare le prime pagine delle riviste, a cambiare usi e costumi di questo mondo: ospitò sulle sue maglie, sui suoi caschi, sui suoi telai le opere di stilisti e grafici di fama mondiale. Vinse 189 volte in carriera. Quando si ritirò in tanti capirono che si era chiusa un’epoca. (gb)