Brambilla fa l'impresa sullo sterrato e si veste di rosa. Il Giro cambierà percorso per Hillary
Il lombardo vince e ottiene la prima posizione in classifica generale dopo 150 chilometri di fuga. Tom Dumulin va in crisi e perde oltre un minuto e mezzo dai rivali per il successo finale. Bene Valverde e Nibali. "Scoop" di Maurizio Milani: domenica si correrà la Firenze-Bologna per la presenza del candidato alla leadership dei democratici americani.
Ottava tappa, Foligno-Arezzo, 186 chilometri – Più che una tappa, una trappola. Più che una fuga, un’imboscate. Più che un’ascesa, una parata. E la parte del re l’ha interpretata oggi Gianluca Brambilla, vincitore ad Arezzo dopo una azione cattiva e maestosa. Tappa e maglia, la più pregiata, quella rosa. Avanguardista dal mattino – con Arndt, Berlato, Trentin, Rojas, Sutterlin, Kadri, Montaguti, De Marchi, Moser, Venter, De Bie, Tcatevich –, oltre 150 chilometri di fuga prima assieme ad altri dodici avventurieri, poi da solo per quindici. Lui che era scattato per primo dopo quindici chilometri dalla partenza, che aveva spronato tutti a credere nel buon esito della fuga, lui che ha fatto il vuoto sulla ghiaia dell’Alpi di Poti. Sue sono le braccia alzate sotto l’arrivo e sul podio di rosa vestito. Lui che ringrazia a traguardo superato il lavoro eccezionale del compagno di squadra Matteo Trentin.
La Foligno-Assisi vuol dire sterrato e sterrato vuol dire imprevedibilità. La sorpresa è Brambilla, certo, ma è anche Tom Dumoulin, che arranca a centro gruppo, poi crolla tra ghiaia e polvere. Si muove, si guarda indietro, cerca aiuti, non ne trova. Perde la maglia, perde sicurezze, si stacca anche sull’ultima erta. Un tonfo che riscrive completamente il romanzo di questo Giro, che cancella i timori di Vincenzo Nibali dopo l’arrivo in salita di Roccaraso/Aremogna.
L’eclissi dell’olandese si manifesta nel momento in cui Alejandro Valverde mette per la prima volta il muso davanti al gruppo. Lo spagnolo tenta il colpo. La ghiaia è battuta, il fondo ottimo, ma ripido come un sentiero di montagna all’inizio. Il suo scatto è coltello ma poco affilato. Taglia le gambe a molti, spezza il gruppo ma non lo fa collassare. Rientrano in una decina. Tra loro non c’è il rosa della maglia di Dumoulin che lì inizia il suo personale calvario. Domani ha una cronometro difficile per riprendersi il simbolo del primato.
ARRIVO: 1. Brambilla; 2. Montaguti +1'06"; 3. Moser + 1'27"; 4. Venter +1'28"; 5. De Marchi + 1'33"; 6. Valverde +1'41"; 7. Kruijswijk; 8. Landa; 9. Chaves; 10. Zakarin
CLASSIFICA GENERALE: 1. Brambilla; 2. Zakarin +23"; 3. Kruijswijk + 33"; 4. Valverde + 36"; 5. Nibali + 45"; 6. Chaves + 48"; 7. Uran + 49"; 8. Majka +54"; 9. Pozzovivo + 54"; 10. Landa +1'03"
P.s. Auguri a Matteo Tosatto per i suoi 42 anni, ancora in corsa
H come Alejandro Valverde – Il più grande di sempre anche perché la canzone di Lady Gaga, Alejandro, è stata scritta per lui. Pare infatti che la cantante gli scriva ogni giorno diverse lettere per chiederlo in fidanzato. Non è dato sapere se Valverde risponda. Ma penso di sì. Tanti parlano già di vederlo bene come presidente dell’Uci appena smette di correre. Io come membro italiano di tale federazione lo voto fisso. Con me c’è anche il delegato del Belgio, del Messico, quello francese e quello di un altro stato che adesso non ricordo. Scusate. Ah sì, il Messico.
Ma H anche come Hillary la prossima e prima presidentessa d’America della storia. Verrà a premiare il vincitore della tappa Firenze-Bologna in programma quest’anno al Giro. Quasi tutti infatti sanno che nel programma c’è questa tappa. Verrà annunciata la mattina stessa alla partenza ai corridori convinti di fare un’altra tappa che comunque si recupera il giorno dopo.
H come HINAULT – E’ nato in Bretagna, in riva al mare, ma la gloria l’ha trovata altrove, ai panorami marini ha preferito quelli montani. Davanti a se vedeva la baia di Saint-Brieuc, che sta innanzi a Yffiniac, ma sognava le creste alpine e pirenaiche. Le avrebbe conquistate anni dopo quando il suo nome e il suo cognome, Bernard Hinault, divennero storia del ciclismo, e molto spesso si persero dietro il nomignolo “Monsieur Blaireau”, signor tasso. E a un tasso Hinault assomigliava davvero. Non per sembianze, per attitudine. Il tasso guarda, memorizza abitudini e comportamenti, si fa vedere pacioso e distratto, poi al momento opportuno sfodera un colpo d’artigli e conquista la preda. Hinault in bicicletta faceva lo stesso: si perdeva tra i tanti, si nascondeva, non si faceva scorgere, a vederlo sembrava sempre che stesse faticando, che fosse sul punto di staccarsi, poi si ridestava, attaccava vinceva. Hinault quando correva vinceva, non c’erano discussioni né alternative. Correva poco, meno dei campioni che lo avevano preceduto, più di quelli che lo avrebbero seguito, ma quando sceglieva una corsa non perdeva quasi mai. Corse otto Tour de France, ne conquistò cinque, una volta si ritirò, due volte fu secondo; corse tre Giri e due Vuelte, non ne perse una. Si portò a casa anche due Liegi e due Lombardia, vinse pure una Roubaix, pur considerandola ciclocross, una “cagata di corsa”.
Vincenzo Torriani, il patron del Giro d’allora, per portarlo in Italia nel 1980 litigò con Gianni Agnelli. Il Tasso allora correva per la Renaut, rivale d’Oltralpe della Fiat, sponsor della corsa. L’Avvocato che non vedeva di buon occhio la vittoria di un corridore “targato” Renault e avrebbe preferito non averlo in corsa. Torriani si impuntò, gli disse che senza Hinault sarebbe stato un giretto e che un giretto poteva anche fare a meno della Fiat, che magari avrebbe trovato macchine buone anche altrove anche in Cecoslovacchia. L’Avvocato mandò al diavolo quel diavolo di Torriani e non proferì più parola. Quel Giro lo vinse Hinault, lo conquistò con un’azione matta sullo Stelvio, un lungo volo con il fido compagno Jean-René Bernardeau. Il Tasso conquistò la maglia rosa, il gregario la tappa. Hinault vinse 216 tappe, ne concesse ai compagni almeno una cinquantina. E in un ciclismo che usciva da un decennio di Eddy Merckx, la cosa fece se non scalpore, quanto meno stupore. (gb)