Cosa (non) sta facendo l'Uefa per proteggere gli Europei di calcio dal rischio attentati
Cresce la preoccupazione per garantire la sicurezza della competizione. E nel frattempo, continua la corsa alla sottoscrizione di coperture assicurative per eventuali ricadute economiche.
L’Uefa ha un piano per giocare le partite dei prossimi Europei a porte chiuse se la minaccia di attentati terroristici dovesse superare il livello di guardia. L’allerta è stata già elevata in Francia dopo gli attentati del novembre 2015, quando un kamikaze aveva tentato di farsi esplodere all’esterno dello Stade de France, durante l’amichevole Francia-Germania. Ma il governo del calcio europeo non ha mai brillato per organizzazione al di fuori delle competizioni sportive e ha sempre delegato ad altri le responsabilità relative a ordine pubblico e sicurezza. E lo sta dimostrando pure adesso, alla vigilia della manifestazione più importante. Dopo gli attentati di Bruxelles, il vice presidente del comitato esecutivo, l’italiano Giancarlo Abete, ha dichiarato a una radio francese: “Non possiamo escludere la possibilità di giocare a porte chiuse, come non possiamo escludere il terrorismo”. Ma una nota Uefa, poco dopo, recitava: “Siamo sicuri che saranno prese tutte le misure di sicurezza (da chi? ndr) per un Euro festoso, quindi non ci sono piani per giocare le partite a porte chiuse. Tuttavia, stiamo lavorando su piani d’emergenza in caso di crisi e stiamo prendendo molto sul serio la sicurezza di tutti i partecipanti”.
Non c’è un piano. Presumibilmente la Francia ne ha più di uno, ma l’Uefa che organizza il torneo no. Appena qualche giorno fa, l’allarme terrorismo è stato rilanciato da Rob Wainwright, capo dell’Europol, dalle colonne del quotidiano tedesco Welt: “Guardo con molta preoccupazione ai prossimi Europei di calcio. Sono un obiettivo attraente per i terroristi”. Ha spiegato poi le sue preoccupazioni: “È impossibile monitorare tutti i potenziali terroristi, l’Europa non ha una capacità sufficiente. Dobbiamo rafforzare lo scambio d’informazioni d’intelligence e avere unità antiterrorismo con maggiori forze e migliori equipaggiamenti”. Dopo Parigi e Bruxelles era lecito sperare che da Marsiglia a Nizza, da Bordeaux a Lens, passando per Parigi, l’unica preoccupazione fosse quella di vedere perdere la propria nazionale ai rigori o a tempo scaduto, l’estasi e l’inganno che solo il football sa regalare.
Invece, l’evacuazione dell’Old Trafford di domenica scorsa, nonostante si sia rievelata un falso allarme, ha rilanciato in tutta Europa la psicosi attentati allo stadio. Chris Reid, uno dei capi della Security Search Management & Solutions, ha lasciato in un bagno per uomini alcuni oggetti, tra cui una finta bomba artigianale dopo un’esercitazione antiterrorismo. Un errore banale ma imperdonabile di questi tempi, perché non rassicura sulla possibilità che prima di una partita i controlli possano vedere tutto quello che c’è o che viene lasciato dentro un impianto. Manchester, poi, non è nuova a simili minacce in concomitanza con eventi sportivi. Il 15 giugno 1996, durante la decima edizione degli Europei, l’IRA fece esplodere un ordigno dentro un furgone vicino a un centro commerciale, provocando il ferimento di duecento persone. A Oslo, poche ore dopo che la partita United-Bournemouth era stata rinviata, un volo della Ryanair diretto nella città inglese è stato evacuato quando due passeggeri, forse per uno scherzo di cattivo gusto, erano stati sentiti parlare di una bomba a bordo. La psicosi, appunto, l’idea, la suggestione, la paura che blocca e ci blocca.
Dopo la guerra in Iraq, il timore di attentati terroristici ha spinto il mondo dello sport, e del calcio in particolare, a sottoscrivere coperture assicurative. I premi sono aumentati del 300-400 per cento e hanno inciso sul 4 per cento del budget degli eventi sportivi (contro l’1 per cento antecedente all’11 settembre), non tanto per la sicurezza di atleti e spettatori quanto per le eventuali ricadute economiche, come la mancata vendita dei biglietti o la disdetta di contratti di sponsorizzazione. Secondo Marsh, una società di gestione del rischio con sede anche in Italia, un’assicurazione può coprire le previsioni peggiori, anche nel caso di migliaia di contratti stralciati. Intanto, il governo francese ha proposto e ottenuto una proroga dello stato d’emergenza di due mesi, fino alla fine di luglio, nell’attesa di oltre due milioni e mezzo di tifosi. I costi relativi alle misure di sicurezza per gli Europei si aggirano intorno ai 20 milioni di euro, compresi software per interferire con i voli di aerei e droni e metal detector per controllare borse e vestiti. Sono stati assunti con contratti temporanei 51 mila steward per agevolare ingresso e deflusso all’interno degli stadi e le forze speciali, dotate di armi da guerra, in caso di attacco terroristico saranno in grado di entrare in azione entro 20 minuti su tutto il territorio francese. “I costi assicurativi in questi casi sono elevati e comunque più che l’Uefa è il comitato organizzatore locale che dovrebbe premunirsi, la prima vende il pacchetto e incassa i soldi. È come il banco, non perde mai”, dice al Foglio Marcel Vulpis, direttore responsabile di sporteconomy.it. Girata la domanda all’Uefa, la risposta è stata secca: “Non forniamo dati e informazioni in merito a questo argomento”. La BKA, la polizia federale tedesca, rilancia intanto la minaccia terroristica, considerando gli Europei di calcio lo scenario drammaticamente perfetto per eventuali attentati.