Colpo di Nieve, rosa dell'altro mondo: Amador. Il Giro 2017 partirà dal Portogallo
Il basco della Sky vince a Cividale del Friuli dopo una fuga di 150 chilometri, 30 di questi da solo. Il corridore della Movistar è il primo costaricano in maglia rosa. Domani si sale ancora: ci sono le Dolomiti. Abecedario della corsa: O come Oriani, O come Orecchia di toro.
Tredicesima tappa, Palmanova-Cividale del Friuli, 170 chilometri – Un basco si beve il Friuli, un costaricano rivolta il Giro. La tappa più a est della corsa è un sottosopra: vince Mikel Nieve che in classifica in mattinata stava tra gli ultimi della generale dopo il generoso soccorso appenninico al sino ad allora capitano Mikel Landa; si veste di rosa Andrey Amador che viene dall'altra parte del globo, che la bici l'ha inforcata per caso e per vocazione è diventato corridore.
E un sottosopra era anche la tredicesima tappa: a vederla sembrava un elettrocardiogramma in movimento, dove la pianura è un ricordo e salite e discese sono un susseguirsi senza soluzione di continuità. Su terreni del genere sono i duri a farla da padrone. E il più duro di tutti, almeno oggi, è stato il basco, uno che non si arrende mai, che oggi si è sciroppato oltre trenta chilometri da solo, avanguardista davanti ad avanguardisti. Era partito dopo trenta chilometri in mezzo a una ventina di uomini, ha fatto corsa di testa con loro per oltre cento chilometri, poi sulla penultima ascesa, la Cima Porzus, 910 metri sul livello del mare e pendenze che si impennano al 16 di massima e all'8,6 di media, si è involato. Ha fatto corsa solitaria, ha resistito al ritorno di Giovanni Visconti, ultimo dei fuggitivi a provare a rimanere davanti, e a quella del gruppo dei migliori tirato dai compagni di Vincenzo Nibali, che ha provato più volte a staccare tutti.
Tra i migliori della generale a mancare c'era la maglia rosa. Il lussemburghese Bob Jungels infatti ha perso terreno sull'ultima ascesa, quella di Valle, si è incagliato in un recupero difficile e ha lasciato ai migliori una cinquantina di secondi. Ora è secondo a 26 secondi da Amador. Domani si sale ancora, il panorama sarà dolomitico, i distacchi probabilmente molto più ampi di quelli di oggi.
ARRIVO: 1. Nieve 2. Visconti +43" 3. Nbali +1'17" 4. Valverde 5. Majka 6. Denifl 7. Kruijswijk 8. Uran 9. Montaguti 10. Pozzovivo
CLASSIFICA GENERALE: 1. Amador 2. Jungels + 26" 3. Nibali + 41" 4. Valverde + 43" 5. Kruijswijk 6. Majka +1'37" 7. Zakarin +2'01" 8. Chaves + 2'19" 9. Uran + 2'48" 10. Fuglsang + 3'15"
O come ORECCHIA DI TORO. Il mitico trofeo di tale dorma viene consegnato a chi vince la Lisbona-Setubal, la corsa in linea più importante del pianeta. Purtroppo dal 1970 tale gara non viene più disputata per motivi che spiegheremo domani con calma. I trofei a forma di orecchia di toro sono i più ambiti tra gli amatori. Recentemente ne è sto battuto uno all'asta di Rotterdam per 150mila euro. Il trofeo è poi risultato un falso. Il calcolo è semplice: la Lisbona-Setubal è stata disputata solo dieci volte, quindi non è possibile che i collezionisti abbiano in mano 1.700 trofei di questo tipo. Quest'anno la corsa verrà disputata, anche se non verrà data notizia sulla stampa. Anzi, è stata fatta ieri. Ha vinto un ragazzo di 19 anni. Il prossimo anno però sarà disputata come prima tappa del Giro.
O come ORIANI – E’ albori, ciclismo prima del ciclismo. E’ pionierismo, bicicletta tenuta a battesimo, elevata a mezzo di trasporto e di svago e non a oggetto strambo tanto da sembrare demoniaco. Alfredo Oriani è stato precursore di una storia che è arrivata in qualche modo sino a noi tra miti ottocenteschi e cavalcate novecentesche, tra corse divenute monumento e girovagate nazionali che ormai raggiungono l’intero globo per interpreti, osservatori, sponsor. Oriani era nato a metà dell’Ottocento, a Faenza, vicino a Ravenna, iniziò a pedalare che ancora le biciclette venivano chiamate “cavalli di ferro” e venivano vietate nei centri cittadini. Ne fece una battaglia: il 23 giugno 1894 guidò una manifestazione di ciclisti contro un provvedimento del sindaco di Faenza che ne consentiva l'ingresso in città soltanto se condotti a mano. Il mezzo a pedali veniva visto dalle classi popolari come un vezzo per ricchi, un qualcosa di elitario da distruggere. Cercarono di allontanare prima i ciclisti, poi passarono alle minacce, infine li accerchiarono. I velocipedisti si rinchiusero in un albergo del centro, riuscirono a scappare a tarda notte grazie all’intervento della polizia.
Oriani è un entusiasta della bicicletta, il suo è innamoramento totale. Ancor prima del Novecento gira pedalando metà nord Italia, si avventura tra l’Appennino, raggiunge le Alpi e la Francia. Fa della bici modello di vita e di pensiero. “Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione. Andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo, senza servitù come in treno. La bicicletta siamo ancora noi che vinciamo lo spazio e il tempo; stiamo in bilico e quindi nell’indecisione di un giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere; siamo soli senza nemmeno il contatto colla terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi in balia del vento, contro il quale lottiamo come un uccello. Non è il viaggio o la sua economia nel compierlo che ci soddisfa, ma la facoltà di mutarlo, quella poesia istintiva di un’improvvisazione spensierata”. Un atto d’amore.