L'assenza di Federer al Roland Garros ci ricorda che nessun campione è più grande del proprio sport
“Ti prego, fa che finisca presto”. “Vorrei che non finisse mai”. I giocatori di tennis passano la maggior parte della loro carriera a parlare da soli. Quel giorno, riflettendo come al solito tra sé e sé, Andre Agassi si è contraddetto almeno un migliaio di volte. Era il 3 settembre del 2006, il tennista si stava preparando per giocare il terzo turno degli Us Open e sapeva anche lui che quella sarebbe stata l’ultima partita della sua carriera. Aveva 36 anni ma ogni mattina, al suo risveglio, se ne sentiva addosso più di 90. Maledetta schiena. Cosa ci sarebbe stato dopo il tennis? Il solo pensiero gli faceva venire la nausea. Quella sera, mentre Andre Agassi dopo 20 anni di tennis da professionista, abbandonò per sempre i campi di Flushing Meadows pianse tutta l’America, lui più di tutti. Era finita un’epoca, l’ennesima. Roger Federer sta per compiere trentacinque anni e ha giurato a se stesso che non cercherà di prolungare il suo ritiro: “Quando si fermeranno le mie gambe, allora mi fermerò anche io”, ha dichiarato durante un’intervista. Poche settimane fa, durante il secondo turno degli Internazionali di Roma, lo svizzero è sceso in campo solo per senso del dovere. Maledetta schiena, sempre lei. Dall’altra parte della rete ad aspettarlo c’era Alexander Zverev, giovanissimo ed impaziente di cominciare.
Federer, che evitava di guardarlo negli occhi per non dover pensare a quanto fosse vecchio, si muoveva il minimo indispensabile, ogni servizio una smorfia di dolore. Alla fine ha vinto lui, mentre in diretta tv la commentatrice si domandava nostalgica cosa avrebbe dato il campione svizzero per poter ricevere ancora un poco di tutta quella gioventù. Il giorno dopo Federer ha dovuto affrontare Dominic Thiem, 23 anni, dodici in meno di lui, come se la sua schiena e il suo sguardo sempre più scavato non bastassero a ricordargli quanto tempo ha passato dentro un campo da tennis. “Quello è un rovescio che non conosce il passare del tempo”, commentava Paolo Bertolucci mentre il pubblico applaudiva all’ennesimo passante lungolinea. Già, ma il fisico non si dimentica di niente. Federer si è dovuto arrendere contro Thiem, proprio mentre Rafael Nadal, durante una conferenza stampa, ribadiva: “Non siamo eterni”.
Il tennis è uno sport che ti consuma velocemente, a trent’anni sei già vecchio. Raddoppiano la fatica e i tempi di recupero, alla fine di ogni partita è più facile fare il conto delle parti del corpo che non fanno male. Le gambe, baciate dai vent’anni, a trenta diventano una dolorosa zavorra. Roger Federer ha raccontato che contro Thiem la sua preoccupazione non è mai stata il punteggio, voleva solo uscirne indenne. Nei giorni scorsi ha annunciato che non parteciperà al Roland Garros quest’anno; è la prima volta che accade dal 1999, dopo un record di 65 slam giocati consecutivamente. A qualcuno sono venute in mente le lacrime di Agassi, lo sguardo fisso sull’erba di Pete Sampras dopo aver perso al secondo turno di Wimbledon, il modo in cui finiscono i campioni. Non si gioca a tennis per cercare di rimanerne indenni.
Adriano Panatta aveva 26 anni quando, nel 1976, vinse il Roland Garros, dopo aver battuto in semifinale Bjorn Borg. Non ha mai giocato per partecipare, né tanto meno per divertirsi. Il tennis gli faceva venire la nausea. Una sola cosa gli interessava, ed era vincere. Nel 1983, amareggiato dopo l’ennesima sconfitta, capì che non sarebbe più riuscito a vincere niente. Regalò tutte le sue racchette a un ragazzino fortunato che passava dal Foro Italico per caso. In quello stesso anno, anche Bjorn Borg, a soli ventisette anni si accorse di non essere il migliore e, logorato, decise di ritirarsi. Era la fine di un’epoca, qualcuno si chiese cosa ne sarebbe stato del tennis. C’era ancora John Mc Enroe, incurante della nostalgia. Poi sono arrivati Becker ed Edberg. E poi Agassi e Sampras. E poi ancora Federer, Nadal e Djokovic. Nessun campione è più grande del proprio sport. Vale per tutti gli sport, vale anche per il tennis e per Roger Federer, il migliore di tutti.