Kluge è una beffa, bentornati finisseur. E il Giro correrà in sottana
Il pistard tedesco anticipa i velocisti (e Pippo Pozzato) sul traguardo di Cassano d'Adda. Alle sue spalle Giacomo Nizzolo all'ennesimo piazzamento tra i primi tre della sua carriera. Abecedario della corsa: S come sfiga, S come sottane
Diciasettesima tappa, Molveno-Cassano d'Adda, 196 chilometri. Doveva essere poca cosa, trasferimento semplice, un nulla prima del tutto della volata conclusiva. E' stato un inseguimento disperato. Tre davanti, poi sei, pancia a terra e giù a oltre cinquanta chilometri all'ora attraverso la pianura lombarda. Pavel Brut, Daniel Oss, Eugert Zhupa sin dal mattino, Lars Bak, Ignatas Konovalovas, Maksim Belkov dai meno trenta all'arrivo. Il gruppo lanciato a tutta, i secondi scendono piano, il riaggancio avviene ai 1500 metri dallo striscione. Lì Bak riallunga, Pippo Pozzato gli va dietro e prova il colpaccio. Il suo contropiede è disperato, potente, vano. L'acido lattico vince la resistenza del veneto della Wilier quando la linea d'arrivo dista 200 metri. E' lì che Roger Kluge, uscito alla disperata dietro a Pozzato, lo supera e allunga sul gruppo lanciato ai sessanta all'ora per chiudere il buco. Il lungagnone tedesco capisce che tra lui e tutti gli altri c'è un distacco incolmabile. Poche pedalate e si gira, si siede sul sellino, porta le mani al caschetto, le alza al cielo. Vittoria.
Ancora una volta il primo dei battuti è Giacomo Nizzolo, sprinter di classe, ma eternamente secondo. Non passa volata che trovi qualcuno davanti, non passa volata che debba abbassare il capo e prendere a pugni il manubrio per le vittorie altrui. Oggi poteva essere finalmente il suo giorno. Ha trovato invece la medaglia d'argento di Pechino su pista nella corsa a punti che ha rinverdito i fasti un po' dimenticati dei finisseur, i "beffatori", a dirla alla Achille Campanile, coloro che "trovano gusto non nella vittoria, ma nel procurare beffa ai distratti più veloci".
ARRIVO: 1. Kluge 2. Nizzolo 3. Arndt 4. Modolo 5. Trentin 6. Porsev 7. Ligthart 8. Navardauskas 9. Belletti 10. Simion
CLASSIFICA GENERALE: 1. Kruiswijk 2. Chaves +3'00" 3. Valverde + 3'23" 4. Nibali +4'43" 5. Zakarin +4'50" 6. Majka +5'34" 7. Jungels +7'57" 8. Amador +8'53" 9. Pozzovivo +10'05" 10. Siutsou +11'03"
S come SOTTANE – Una curiosa gara si svolge in Trentino Alto Adige. Nel periodo del Giro d'Italia c'è la corsa in bicicletta (da uomo) con il corridore in sottana. Vi lascio immaginare la fatica di pedalare vestito da contadina tirolese. Ho partecipato solo una volta come direttore di gara. Su 150 corridori sono stati espulsi in 120. Le regole sono chiare: bisogna pedalare senza alzarsi dal sellino. Per me tale corsa andrebbe abolita. Ma sarà difficile. Anche perché il prossimo Giro varrà corso in sottana.
S come SFIGA – Chiamarla in causa, la sfiga, è molte volte una scusa. Non si riesce ad arrivare a un obbiettivo ed ecco che le si addossa tutta la colpa. Spesso è abuso di giustificazionismo, ma nel ciclismo questa componente non dimostrata della vita il suo peso ce l’ha. Perché questo è uno sport nel quale le variabili in campo sono molteplici e il discrimine tra vittoria e sconfitta è sottile: si corre su strade normali, su pneumatici di 23 centimetri lanciati quasi sempre a oltre quaranta all’ora. E molte volte il discrimine tra vittoria e sconfitta è una ruota che si sgonfia o qualcuno che ti cade davanti. Certo contano forza, classe, colpo d’occhio, capacità di capire in anticipo cosa potrebbe succedere, ma ci sono circostanze nelle quali viene difficile chiamare gli eventi con altri termini se non sfiga. Marco Pantani è stato forse l’ultimo grande iscritto alla categoria degli jellati. Una macchina che si era inserita nel percorso della Milano-Torino del 1995 (la strada era chiusa al traffico) gli provocò molte fratture e quasi gli costò la vita; un gatto nero nella discesa del Valico del Chiunzi verso Vietri sul mare gli rovinò il rientro nelle grandi corse, lo scandalo Festina gli stava per far svanire il Tour 1998. Tutti fatti non gestibili e non pronosticabili, tutti sempre e rigorosamente avversi al suo tentativo di diventare il miglior scalatore degli anni Novanta. Prima di lui e peggio di lui però toccò a Victor Fontan. Il francese era corridore raffinato e talentuoso. Henri Desgrange, il patron del Tour, di lui disse: “Il suo talento non si discute, se nei prossimi anni non vincerà almeno due o tre Tour sarà un delitto”. Era il 1913 e aveva appena vinto la Tolosa-Bordeaux da indipendente (senza squadra). Nel 1914 cadde dalle scale e si fratturò il mento a tre giorni dal via della corsa. Poi arrivò la Grande guerra. Dal fronte tornò nel 1918 e una volta a casa venne colpito da un fulmine. Si ristabilì dopo qualche anno. Rientrò nel 1923, a ventinove anni: vinse una trentina di corse in cinque anni prima di trovare un ingaggio in una squadra invitata al Tour: arrivò settimo facendo il gregario. A trentasette anni, nel 1929, la Wolsit decise di rischierarlo al via. Era la sua ultima occasione. Nel tappone pirenaico si involò con lo spagnolo Salvador Cardona sull’Aubisque, aumentarono il vantaggio sul Tourmalet e arrivarono a Luchon con oltre otto minuti sui migliori. Perse lo sprint a causa di una foratura agli ultimi 50 metri, ma riuscì a indossare la maglia gialla. Fontan era raggiante. Desgrange disse: “E’ stata una prova incredibile. Me lo ricordo ragazzo, era fortissimo. Ora finalmente è tornato”. Il giorno dopo finì la sua corsa dopo 50 chilometri. Il telaio della sua bici si spezzò in due pezzi. Lui cadde e impossibilitato a ripartire si dovette ritirare. Desgrange commentò: “Fontan poteva essere il numero uno. Tra lui e la vittoria però si è messa di mezzo la sfortuna nera”.