Spettacolo Nibali. Vince ed è secondo. Kruijswijk cade e riapre il Giro (che apre alle donne)
Lo Squalo attacca sul Colle dell'Agnello, forza in discesa, resta solo verso Risoul. Esteban Chaves ora è in maglia Rosa, con 44 secondi sul messinese. Kruijswijk cade in discesa e nell'ascesa finale va in crisi. Abecedario della corsa: U come Ultimo, U come Unioni civili
Diciannovesima tappa, Pinerolo-Risoul, 162 chilometri. Vincenzo Nibali a Risoul è tornato Squalo. Nei 12.850 metri che da Guillestre portano a Risoul, arrivo in salita della terzultima tappa il messinese compie l'impresa che chi lo dava per finito dopo la débâcle dolomitica non avrebbe creduto (e forse voluto) vedere. Nibali si invola ai cinque dall'arrivo dopo essere riuscito a reggere gli affondi del colombiano Esteban Chaves sul Colle dell'Agnello. Dopo aver forzato in discesa e fatto, suo malgrado, scoppiare lì il Giro, rivoluzionato, grazie anche a errori e debolezze altrui, la corsa.
Il giudice, di oggi e forse di tutto, è stato l'Agnello. Il Colle più alto del Giro, la Cima Coppi, ha selezionato il gruppo in salita, dietro alle mazzate di Esteban Chaves e compagni, ha stravolto il racconto della corsa in discesa: a terra la maglia rosa Steven Kruijswijk, capovolta a bordo strada, steso in un fosso il russo Illnur Zakarin, clavicola rotta e addio a sogni di podio. Due chilometri dopo la vetta l'olandese, nel tentativo di non perdere terreno dalle ruote del messinese, allunga la traiettoria, trova un paracarro di neve compatta, si ribalta su di esso: un tuffo di 360°, botte ed escoriazioni, la bici con cambio e ruota posteriore rovinata. Perde Kruijwijk, si trova solo, prova a recuperare, non molla, poi affonda.
Fatti che non tolgono nulla alla magnificenza della prestazione di Nibali, perché, per quanto possa dispiacere un finale così ingiusto per un corridore che sino a oggi ha dominato la corsa, le strade sono fatte di salite e di discesa e ogni tappa va conclusa in piedi. Lo ricorda quanto successo a Roger Riviére giù da una scarpata dal Col de Perjuret inseguendo Gastone Nencini al Tour de France del 1960; lo ricorda quanto successo a Luis Ocana caduto nella discesa del Portillon inseguendo Eddy Merckx nel Tour del 1971. Nibali ha azzardato, ha trovato sulla strada la sempre eccellente assistenza di Michele Scarponi, partito ai piedi dell'Agnello, transitato in cima per primo, poi ci ha pensato da solo. Il suo allungo ha affossato Chaves, ha inflitto a Alejandro Valverde oltre due minuti di distacco, oltre cinque a Kruijswijk. Ora è secondo in classifica. Ora ha 44 secondi di svantaggio da Chaves. Ora è tutto possibile.
ARRIVO: 1. Nibali 2. Nieve +51" 3. Chaves +53" 4. Ulissi + 1'02" 5. Majka +2'14" 6. Valverde 7. Uran 8. Preidler +2'43" 9. Roche +2'51" 10. Dupont
CLASSIFICA GENERALE: 1. Chaves 2. Nibali +44" 3. Kruijswijk +1'05"
U come UNIONI CIVILI – Normativa molto bella e completa per festeggiare la legge oggi ci sarà la tappa del Giro mista. Cioè con corridori uomini e donne. Si pensa di unificare Giro maschile e femminile. Anzi di unificare tutti gli sport. Tranne il tennis. Infatti Nadal su 10 partite contro Serena Williams ne vince cinque e ne perde quattro…una sospesa per spettatore maleducato che disturba. Chi è?
U come ULTIMO – Ci sono stati anni al Giro d’Italia nei quali l’ultimo posto era importante quanto il primo. Anni nei quali i nomi di Luigi Malabrocca e Sante Carollo erano famosi quanto quelli di Gino Bartali e Fausto Coppi. Gli anni Quaranta sono stati infatti non solo l’epoca delle sfide tra i nostri campioni più importanti, ma anche, e forse soprattutto, quelli della maglia nera. L’arrivare ultimo nello sport, in qualsiasi sport, è infamia e sberleffo; nel ciclismo divenne vanto e gloria. E’ capovolgimento carnevalesco, giravolta assurda: premiare l’ultimo come riconoscimento alla perseveranza, alla condanna di pedalare più a lungo di tutti. Divenne esaltazione e ambizione. La maglia nera divenne desiderio per molti. Le sue origini erano calcistiche: si ispirava alla maglia di Giuseppe Ticozzelli, mediano del Casale, maglia nera con stella bianca sul petto, iscrittosi per passione al Giro del 1926: uno che non aveva ambizioni di vittoria, che si fermava a pasteggiare in trattoria e che dopo essere stato investito da una moto alla terza tappa, in osteria schiacciò pure un pisolino. Divenne un mito popolare. Divenne ispirazione per un premio ambitissimo. Vestire questa maglia infatti significava applausi, soprattutto premi: in palio c’erano salami, prosciutti, formaggi, generi alimentari, soldi. E nell’Italia del secondo dopoguerra tutto ciò rappresentava un’attrazione. Luigi Malabrocca era corridore di talento, uno che nei dilettanti vinceva spesso e volentieri, 113 corse in pochi anni. Passato professionista, visti Coppi e Bartali, e Magni e compagnia, capì di non poter mai competere per la vittoria finale del Giro. Capì che meglio ultimi che nel gruppo. Divenne uno specialista dell’arrivare in fondo. A ogni tappa, specialmente in quelle in salita, trovava stratagemmi perdenti: partiva in fuga e poi si nascondeva, in cascine, fienili, una volta addirittura in un pozzo vuoto. Quando il contadino proprietario del terreno lo scoprì e gli chiese cosa stesse facendo laggiù rispose: “Sto correndo il Giro d’Italia”. Lo cacciò forcone in mano. Si arrampicò su Rolle, Pordoi, Campolongo e Gardena, tutto il meglio delle Dolomiti, e arrivò ultimo: maglia nera. Era il 1946. La rivinse nel 1947. Nel 1948 non partecipò al Giro a causa di un problema fisico. L’anno dopo trovò Sante Carollo. E fu beffa. Carollo faceva il muratore di professione, in bici ci andava per diletto, forte, ma pur sempre per diletto. Venne chiamato dalla Wilier e la sua preparazione approssimativa lo fece arrivare ultimo praticamente sempre. Un’offesa per uno come Malabrocca. Carollo aveva oltre 2 ore di ritardo da Luisin. Nell’ultima tappa, la Torino-Monza, il colpo di genio: finge una foratura, entra in un’osteria, si finge interessato agli utensili da cucina e da lavoro, va a pescare con il padrone, si rimette in bici e si dirige verso l’arrivo. “Recupera” le due ore. Peccato che i cronometristi stanchi di aspettare gli avessero attribuito il tempo del gruppo.