Il Giro dei ribaltoni: Nibali festeggia, Nizzolo vittoria e penalità, Giorgia Palmas la più amata
Torino festeggia lo Squalo sul gradino più alto del podio della corsa rosa. Lo sprinter piemontese supera tutti nell'ultimo sprint, ma viene declassato dalla giuria per scorrettezze: vittoria ad Arndt. Abecedario: Z come Zelig e Z come Zilioli.
Ventunesima tappa, Cuneo-Torino, 163 chilometri. Quando i corridori lasciano la linea d’avvio e imboccano la strada che porta all’ultimo traguardo c’è una aria di rilassamento generale. Almeno all’inizio di tappa. E’ tempo di spumante e tartine, di applausi al vincitore e complimenti generici a chiunque abbia terminato la corsa. C’è l’atmosfera dei sopravvissuti, degli scampati alla tempesta perché superare indenni oltre 3.000 chilometri di pianura, collina, montagna, salite e discese è già qualcosa da festeggiare.
Oggi la maglia rosa e la sua squadra hanno guidato i sopravvissuti alla partenza, poi è stata corsa vera. Ultimo atto di una storia che è stata lotta e mistero, dominio e ribaltamento. Doveva essere il Giro della potente solidità di Steven Kruijswijk, più forte di tutti per due settimane, si è trasformato nel Giro della creatività imprevedibile di Vincenzo Nibali. Lo Squalo ha patito le Dolomiti, ha faticato, ha attaccato e si è staccato, sembrava tagliato fuori, si è ritrovato primo quando ormai tutto sembrava finito. Le crisi dei Monti Pallidi e le glorie delle Alpi franco-piemontesi. Tutto in una settimana. Il cambio che si rompe su verso l’Alpe di Siusi e il volo dell’olandese sulla neve giù dal Colle dell’Agnello. Due immagini della corsa. Due istantanee. Due istantanee come quelle degli scatti di Nibali sulle rampe verso Risoul e verso la cima del Colle della Lombarda. Perché è con quei due scatti che lo Squalo si è ripreso il primo posto, ha riscritto la storia del Giro. Due imprese che cancellano i se e i ma che a tutti sono venuti in mente vedendo quanto capitato a Kruijswijk. Nibali ha legittimato il suo successo in salita, lo ha reso possibile in discesa, è stato magnifico interprete di tutti i due lati della montagna. Perché “la corsa è pedalare, ma soprattutto guida, è ascesa ma anche discesa e non è campione chi eccelle nell’una dimentico dell’altra”, scriveva il grande giornalista francese Antoine Blondin.
Il Giro è finito, la classifica finale disegnata. Manca solo l’ultimo sprint. E memori di quanto successo un anno fa nell’ultima tappa di Milano i velocisti hanno dato fondo alle energie residue dei compagni per non ritrovarsi battuti e beffati. E così avanguardisti ripresi a sette chilometri dal traguardo e tutti in fila sino al traguardo e vinca il più forte. E il più forte oggi è stato finalmente Giacomo Nizzolo, uno che in questi ultimi tre anni dietro al primo si è piazzato spesso, nove volte, e che quasi si stava abituando al fatto di essere battuto. Oggi, all’ultima opportunità buona, si è ripreso la rivincita, l’ha fatto di rabbia e ardore, di furbizia, pure troppa, e cattiveria chiudendo la porta, sulle transenne, a Sacha Modolo. Peccato che tutto ciò sia stato eliminato dalla giuria del Giro. Per i giudici Nizzolo è stato scorretto, ha chiuso Modolo, è stato retrocesso all'ultimo posto. E così vittoria tedesca, concessa per procura ad Arndt.
ARRIVO: 1. Arndt 2. Trentin 3. Modolo 4. Porsev 5. De Bie 6. Savitskiy 7. Zabel 8. Grosu 9. McCarthy 10. Bettiol.
CLASSIFICA GENERALE: 1. Nibali 2. Chaves +52" 3. Valverde +1'17" 4. Kruijswijk +1'50" 5. Majka +4'37" 6. Jungels +8'31" 7. Uran +11'47" 8. Amador +13'21" 9. Atapuma +14'09" 10. Siutsou +16'20".
Z come ZELIG – Zelig, il mitico filma di Woody Allen, da cui prende il nome il cabaret milanese. Qui durante la Sei giorni al Vigorelli i ciclisti su pista si ritrovavano per fidanzarsi con ragazze della borghesia comunista milanese. Le famiglie comuniste (miliardarie) nel sapere che la figlia usciva con un corridore di ciclismo erano deluse. Sai, il ciclista è sempre stato considerato uno che fatica ecc. Meglio fidanzarsi con un giocatore di golf. La ragazza doveva perciò lasciare il suo amore.
Z come conclusione. E allora se conclusione deve essere, dispiace dirlo, ma deve essere amore. Lettera d’amore alla madrina del Giro, Giorgia Palmas.
Gentile Giorgia. Sono un meccanico della Movistar al Giro d’Italia. Vi ho sempre amato. Siete bellissima. Non penso di aver mai visto una donna come voi. Parlo di tutto: fascino, bellezza, portamento, ideali. Vi andrebbe di fare una gita in bicicletta con me stesso? Purtroppo a breve non è possibile. Finito il Giro, andiamo al Tour del Messico, però se lei risponde mi licenzio per amore. Nei suoi riguardi. Comunque da Mexico City le scriverò tutti i giorni. Il Tour del Messico per noi meccanici e anche per i corridori è il più impegnativo delle varie corse. La cronometro individuale per esempio va da Sonora a Tombstone, nel New Mexico. Qui per via dei cespugli che costeggiano la strada ogni corridore buca in media 15 volte. Devo correre giù dall’ammiraglia con la ruota nuova in mano e cambiarla in pochissimo. Giorgia, sono stufo di fare questo lavoro; ormai è 35 anni che lo faccio. Questo per esempio è il 30esimo Giro d’Italia che seguo. Prima ero nella squadra di Bettini (che ti saluta, penso anche lui sia innamorato di te, però non può dirlo per il ruolo che ricopre; se ero lui ti scrivevo lo stesso una lettera d’amore). Oggi con la carovana del Giro, sono a Torino. Ti va di vedermi a cena? Al limite ti raggiungo. Prendo il Motorhome della Sky (senza chiedere al padrone) tanto sta parcheggiato tutta notte davanti all’albergo. E’ un attimo arrivare ovunque tu voglia. Come Motorhome è il più bello in assoluto. Ha su tutto: cucina, doccia, biblioteca. Possiamo cenare qui a lume di candela. Al limite la cena ce la si fa servire tramite catering. Se vuoi puoi cucinare tu. Come vuoi, per me amore va bene tutto. Basta stare con te. Al limite se vediamo che ci amiamo possiamo scappare con il Motorhome della Sky. Non penso che ci fa causa, anche perché loro ne hanno tanti. Tu cosa dici? Amore, rispondimi oggi stesso. Così stasera faccio il pieno (che di solito si fa di mattina).
Un bacio, tuo Maurizio.
Z come ZILIOLI – Fosse nato in Francia, uno come lui sarebbe ancora amatissimo. Perché i francesi tifano i campioni, ma amano ancor più i battuti, quelli da prime posizioni sia chiaro. Il “secondopostismo”, a dirla con l’ex telecronista del ciclismo francese Robert Chapatte, è “la missione del tifoso francese, perché è troppo banale la vittoria, meglio allora crogiolarsi con le lamentele da occasione sfuggita”. E di occasioni sfuggite Italo Zilioli ne ha viste un sacco lungo la sua strada a pedali. Perché presentarsi con quattro vittorie di fila in quattro corse di prestigio (allora) come Tre Valle Varesine, Giro dell’Appennino, Giro del Veneto e Giro dell’Emilia, dopo essere stato il miglior dilettante della sua epoca, qualche illusione di avere in strada un nuovo Coppi la dà per forza. E Zilioli era davvero corridore di qualità straordinarie: scalatore, ma potente, restistente e con uno spunto veloce niente male, insomma tutto per diventare dominatore nei grandi giri. Peccato che tutto questo ben di dio alla fine di ogni Giro era sempre tra i migliori e mai il migliore. Insomma la risposta italiana a Raymond Poulidor. Il problema era che mentre il francese era più apprezzato di Jacques Anquetil, il vincente di quegli anni, Zilioli invece non se lo filava praticamente nessuno. Pou Pou era l’eterno piazzato, una Sanremo in carriera, una Vuelta e sette tappe al Tour, ma otto podii, cinque volte terzo, tre volte secondo; Zilioli fu tre volte secondo e una terzo. La consolazione è che correre in un’epoca che ha avuto in poco più di dieci anni Anquetil-Gimondi-Merckx-Ocana era missione disperata per qualsiasi corridore. E forse anche per questo Zilioli poi non se l’è mai presa troppo. Quando i dominatori dominano, abbatterli può diventare ossessione, e lui non si è mai ossessionato. Era uno da giornate memorabili, non da calcoli di classifica, un esteta della bicicletta. Al Giro del 1965 forse la sua impresa più bella. Era la Biandronno-Sas Fee, diciottesima tappa, 178 chilometri. In mezzo il Passo del Sempione prima dell’ascesa finale che porta al paesino elvetico. Italo se ne va sul Passo, forza, fa il vuoto, tutto solo si getta in discesa, supera la pianura, resiste alla lotta veloce degli altri verso l’arrivo. Stravolto supera il traguardo. Una vittoria di cattiveria e determinazione, quella che a volte gli è mancata.