Onore a Messi che lascia la Nazionale: ha capito che fuori dal circo catalano non conta niente
Londra. Brava Italia, che fa godere chi come me non sopporta la retorica della superiorità del calcio spagnolo. La partita di lunedì è una lezione ai buffoni iberici, che adesso possono tornare a preoccuparsi dell’antidoping. Di Inghilterra-Islanda non scriverò una sola parola, dato che non mi occupo né di tornei estivi né di calcio minore. D’altronde sono uno di quei vecchi di merda inglesi che l’élite del pensiero buono europea vorrebbe eutanasizzare subito, o almeno ridurre all’impotenza elettorale solo perché esercitando quel grande diritto democratico che è il voto (cit.) non lo esercita come vorrebbero loro. Spero anzi che si faccia tutto in fretta, almeno entro gli Europei del 2020, quelli che sul letto di morte Platini ha deciso fossero giocati in tredici città diverse, e cioè Bilbao, Amsterdam, Bruxelles, Copenaghen, Glasgow, Dublino, Budapest, Bucarest, Baku, San Pietroburgo, Monaco di Baviera, Roma e naturalmente Londra.
Pilar Rubio, fidanzata di Sergio Ramos, visibilmente sotto choc dopo la sconfitta della Spagna contro l’Italia
Sarà un vero momento europeo, con gli hooligans che potranno fare danni in più paesi contemporaneamente, e sono certo che ci sarà grande solidarietà paneuropea. Leggo nel programma che semifinali e finale sono previste a Wembley (ci date degli ignoranti ma poi venite a ciucciare la mammella inglese quando di tratta di fare cose ben fatte nel calcio, eh). Bene: non vedo l’ora di vedere le code in aeroporto per il controllo dei passaporti dei tifosi che vorranno entrare a Wembley. In attesa di questa tragedia combatto il sonno davanti alle partite dell’Europeo, sperando che dai quarti qualcosa di simile al calcio venga effettivamente giocato sui campi francesi, là dove tutti danno per sicura vincente la Germania. Probabile, come dice il buon Lineker, se fossi la squadra tedesca mi annoierei a vincere in continuazione. Ma l’evento della settimana, del mese, dell’anno, è il tardivo ma finalmente apprezzabile ravvedimento di Lionel Messi. Domenica notte il giocoliere del circo blaugrana del Barcellona ha tirato in curva il primo rigore della serie nella finale della Copa America (altra pagliacciata non da poco, sia chiaro) contro il Cile. Alla fine il trofeo lo ha vinto il Cile, ma chissenefrega. La notizia è che l’Argentina ha perso la sua terza finale in tre anni (Mondiale 2014 e altra Copa America nel 2015), e che Messi fuori dalla pantomima catalana è meno vincente di Simone Barone. Lui in lacrime ha annunciato l’addio alla Nazionale, e se io fossi argentino (ma grazie a Dio non lo sono) festeggerei per due giorni. In attesa che Antonio Socci ci dimostri che se l’Argentina perde le finali da quando Bergoglio è Papa è proprio per colpa di Bergoglio, noi ci limitiamo a osservare che Messi a 29 anni ha finalmente capito quello che un leader deve fare in certi casi: lasciare.
Non fatevi ingannare da editoriali col ditino alzato che vi spiegheranno che non si fa così, che un vero campione non lascia, che è nel momento del tracollo che i grandi sono più forti, o che Maradona non lo avrebbe mai fatto (sono dieci anni che ci dite che Messi non è Maradona e passate il tempo a paragonarli, imputando alla Pulce la colpa di non essere come Maradona). Messi ha fatto benissimo ad annunciare l’addio alla Nazionale. Adesso forse ricominceranno a vincere qualcosa. L’Argentina è come una festa un po’ moscia in cui il più figo degli invitati decide di andarsene, seguito dagli amici bulli (hanno annunciato l’addio pure Mascherano e Agüero). E’ quello il momento in cui ci si comincia a divertire sul serio. Io ho già smesso di festeggiare la Brexit, adesso mi ubriaco di gioia per la Mexit.