Cavendish si prende gli applausi all'arrivo, Froome i fischi del Tour
Mont-Saint-Michel. La statua d’oro di San Michele Arcangelo che domina dall’alto l’omonima abbazia di Mont-Saint-Michel è per una volta sfondo, attrice non protagonista. A essere soggetti principali delle foto, degli wow di bambini e adulti rimasti per un giorno tali, degli applausi e delle incitazioni sono le biciclette, i corridori che le cavalcano. “I cavalieri normanni oggi si sono trasformati in ciclisti, i cavalli in bici”, dice lo speaker alla partenza, mentre l’orologio del maxischermo conta i secondi che precedono il momento in cui gli scarpini degli atleti si agganciano ai pedali e il carrozzone del Tour de France si muove in direzione di Sainte-Marie-du-Mont, che è Utah Beach, ma solo dal 1945, ossia da quando le truppe americane sono qui sbarcate per dare l’assalto a quelle naziste.
I fucili della Seconda guerra mondiale lasciano posto alle ruote veloci in riva alla Manica e il verde delle divise alla maglia bianca di Mark Cavendish. Lo sprinter dell'isola di Mann precede tutti in una volata di cattiveria e furbizia. Alle sue spalle finisce Marcel Kittel, che doveva mettere in riga chiunque almeno alla viglia; Peter Sagan, che non potrà tingere di giallo l'iride che indossa come aveva auspiacato alla vigilia;André Greipel che si è trovato senza energie nel momento meno opportuno. Cannonball ritorna quindi in giallo e porta per la prima volta in cima al Tour una squadra africana, mica male per una formazione che l'anno scorso era stata considerata da troppi come una favola passeggera nel panorama ciclistico
L’edizione 103 della Grande Boucle è iniziata, proseguirà tre settimane. Sarà Bassa Normandia per tre giorni, il tempo di due volate (prima e terza tappa) e un arrivo buono per smuovere la classifica, creare i primi distacchi, vedere chi ha e chi non ha le gambe a posto. Poi la discesa a sud, prima verso il centro, Massiccio Centrale, poi virata verso ovest, Pirenei, prime alte montagne per ipotecare il podio parigino. Infine saranno le Alpi lo sfondo delle ultime fatiche, ma questo è futuro ancora lontano, ancora difficile anche da immaginare.
Il presente è fatto di pianura e di Atlantico, di vento che spira continuo, freddo e fastidioso, di cielo che alterna qualche sprazzo di sereno a nubi nere che promettono docce anticipate per i corridori. Il presente è fatto soprattutto di facce. Sono quelle sorridenti dei tifosi che sono arrivati a migliaia alla partenza, che hanno iniziato a occupare i bordi delle strade già dal mattino, che attendono il passaggio della carovana per ore per vedere un turbine colorato e rumoroso passare per qualche secondo. Ci poi quelle stupite dei bambini, imbronciati con il campione di turno, che esce all’ultimo dal pullman della squadra, saluta velocemente tutti, inforca la bici e parte. “Una volta erano più umani”, dice un signore alla moglie. Ma l’umanità conta poco in una gara di tre settimane dove i tempi di recupero sono limitati e l’organizzazione impone procedure che definirle da caserma è dire poco. I corridori passano, si scusano, sanno di sembrare scortesi, ma altro non possono fare. Il carrozzone ha le sue regole e queste vanno rispettate.
Davanti al motorhome della Astana c’è una folla che aspetta Fabio Aru e Vincenzo Nibali. Sono loro gli sfidanti, i possibili ingranaggi difettosi che possono far saltare quello che si annuncia il marchingegno perfetto, quello della sfida a tre tra Alberto Contador, Nairo Quintana e il grande favorito, Chris Froome. Il britannico, keniota di nascita, sorride più degli anni scorsi, lo fa soprattutto in faccia ai buuu e ai fischi che raccoglie quando sale sul palco per firmare (i corridori sono obbligati a farlo prima dell’avvio della corsa). I sospetti di doping, sia meccanico che farmacologico, ci sono ancora, vengono sistematicamente rilanciati dalla stampa. Froome si sa, non piace. Non è bello da vedere, non è spettacolare, ma paga più di tutti questo clima di inquisizione che sembra essere ritornato sul ciclismo.
Nibali e Aru se lo dovranno scansare dalle ruote per riuscire a vincere. Lungo la strada si vedrà se ci saranno le condizioni, intanto all’Astana tutto sembra tranquillo. Stefano Zanini che è stato corridore eccellente, molte volte vincente, dice che il clima è quello giusto, “che c’è serenità, e questo conta almeno quanto lo stato di forma, che comunque è buono”. I corridori stanno bene, sono “pronti a provare a fare il colpaccio”, a smazzolare il gruppo. Le premesse ci sono. Ora spazio alla strada.