La lezione della Pellegrini ai moralisti del Guardian sulle donne a Rio
Roma. Con il tweet indirizzato all’utente calloggero – “Coglione, mi sono ritirata dai 100 perché mezz’ora dopo ho la staffetta 4x200 e voglio dare il massimo lì” – Federica Pellegrini non ha scritto la storia delle Olimpiadi 2016, ma di una giustizia privata non violenta sì. E si tratta, naturalmente, di una giustizia politicamente scorretta. Per spiegare quel che è accaduto, tenteremo di scrivere l’articolo seguendo pedissequamente le regole stilate da Lindy West sul Guardian per raccontare le atlete olimpiche senza scivolare nella “regressione” sessista. Per esempio, non parleremo dello stile, dello smalto, dei tatuaggi, del corpo da favola, niente di tutto ciò. Dice la West che dobbiamo parlare di sport, e di sport e basta. Ecco i fatti.
A Rio de Janeiro è il 10 agosto e Federica ha 28 anni e 5 giorni. Si è appena classificata quarta ai 200 stile libero e sul suo volto si anima un meticciato emozionale fatto di incredulità e dispiacere (un commentatore del secolo scorso l’avrebbe descritta “incazzata nera”, ma oggi, secondo il Guardian, certi aggettivi vanno censurati). Federica spiega alle telecamere che era certa di conquistare il bronzo e che non è stata la testa a giocarle un brutto scherzo, minacciando di tirare cazzotti a chi la ritiene ancora così immatura da essere in balìa dello stress e del giudizio universale. Poi prende il telefono e pubblica una foto in cui si affaccia sul villaggio olimpico come fosse un foro imperiale. Scrive che soffre, ricorda i sacrifici, la volontà, ringrazia chi le è stato vicino (secondo il Guardian, non si devono menzionare i fidanzati delle atlete o anche, più genericamente, “quelli con cui fanno sesso”). Intanto, viene diffusa la sua decisione di ritirarsi dai 100 metri. Su Twitter, l’anonimo utente calloggero le scrive: “Avresti dovuto dare il buon esempio e non ritirarti nei 100”.
Federica risponde e richiama i giornalisti al buon senso: spiegherà poi che si sarebbe dovuto specificare, nel dare la notizia della sua rinuncia ai 100 stile libero, che la motivazione era arrivare in forze alla 4x200, altrimenti “la gente che è un po’ meno dentro a queste cose può male interpretare”. In Italia, intanto, imperversa lo scandalo cicciottelle: il terreno è fertile, quindi tutti sottolineano la maleducazione di Federica e i tromboni della comunicazione tengono concistori virtuali in cui convergono su quanto opportuno sarebbe che un personaggio pubblico stesse lontano dai social network in momenti di tensione come il decorso di una sconfitta. Tuttavia, i milioni di occhi che guardano le Olimpiadi cercano l’impronta mortale, il rimbrotto, il cedimento che li avvicini a quei supereroi che è stupendo veder vincere ma catartico veder perdere e risarcente poter criticare.
“Coglione!”, scrive Pellegrini e non può farlo perché lei è la regina del nuoto italiano e perché l’Italia la ama con tolleranza ma senza passione – e per questo la rimprovera di essere diventata una diva degli spot. Finisce che a condividere quel vademecum del Guardian su come parlare delle atlete senza tirarne in ballo culi, flirt e carattere, siano stati più gli italiani che gli inglesi, per chiedere al giornalismo di restituire i fatti, nudi e crudi e asessuati. E però Federica Pellegrini ha fatto quello che l’editoria e la politica non possono fare perché non avrebbero soluzioni di scorta, se s’inimicassero lettori ed elettori (non basterebbe prestarsi a uno spot Activia). Federica ha detto che ci sono cose nelle quali non si deve mettere il muso. Ha rivendicato il pugno, al posto dell’altra guancia. Ha detto ai commentatori da social che devono stare al posto loro. Cioè sul divano. E chissenefrega se è stata maleducata, inappropriata e poco professionale: con quel “coglione” sparato a zero, ci ha mostrato come ci si salva dalla censura e dalla soumission. L’ha mostrato pure al Guardian. Merita una medaglia d’oro.