Mou deve uccidere il fantasma del passato, De Boer quello del presente
Manchester. Vedere il nuovo Manchester United di Mourinho giocare un finale di partita dai tratti epici contro il pur modesto Hull City – la pioggia scrosciante, il gol di Rashford, il ragazzino cresciuto con quella maglia addosso segnato al 93’ su assist del capitano – ha fatto gridare tutti al ritorno del “Fergie time”, là dove “Fergie” sta per Ferguson, l’allenatore più vincente della storia dei Red Devils, le cui squadre erano solite vincere con gol segnati nei minuti finali. Come al solito la colpa è di un giornalista pigro – i giornalisti sono spesso pigri, quelli sportivi quasi sempre dormono: in Italia ancora la chiamate zona Cesarini – che al termine della partita ha chiesto a Mou come fosse vincere nel cosiddetto “Fergie time”. Mourinho però sa come lisciare il pelo, e naturalmente ha detto di sentirsi onorato dal paragone con una leggenda come Sir Alex. Ben venga il “Fergie time”, dunque, soprattutto se serve a stare attaccati alle chiappe di Conte e Guardiola, ma il sospetto – e l’auspicio – da queste parti è che presto sentiremo parlare di “Mou time”: nel calcio il passato è quasi sempre fardello insopportabile da portare, soprattutto se glorioso, e la ricerca ossessiva di paragoni con i tempi d’oro porta male (ricordate Klopp come Shankly, appena qualche mese fa? Ecco…).
Marcus Rashford salva lo United al 90° (foto LaPresse)
Lo United tornerà a essere la squadra fenomenale che almeno un paio di generazioni ricordano se saprà trovare nomi nuovi per definire uno spirito antico. Per ora è sulla buona strada, in attesa di capire se anche l’altra parte della città, quella allenata da Guardiola, con una storia decisamente meno gloriosa ma la stessa fame di vittoria, saprà fare meglio. Al momento l’insopportabile Pep almeno una l’ha azzeccata: ha fatto fuori Joe Hart, portiere titolare delle ultime stagioni nonché dell’Inghilterra. Bravino, ma noto soprattutto per certe sue mirabili cappelle, in particolare con la maglia della Nazionale. Che non abbia più nulla da dare lo si capisce da un particolare: invece che andare in prestito in un’altra squadra di Premier League, preferirebbe giocare nel Torino, in serie A. Chiaro segnale di carriera al tramonto.
Il tramonto è anche quello che vedono i tifosi dell’Inter, che sono impegnati a cercare l’alba dentro l’imbrunire mentre Frank De Boer arranca contro tutte le squadre che si presentano al cospetto della sua corazzata sino-indonesiana. Ci vuole tempo, dice quello, ma intanto l’Inter tira bombe di mercato una via l’altra e poi la domenica si dimentica di scendere in campo, cosa che solitamente rende difficile fare risultati.
Se non malsopportassi il vizio di trovare dentro ogni episodio una metafora di qualche verità più ampia, direi che è il simbolo dell’Italia inconcludente e pasticciona, quella che nemmeno i lauti investimenti dei grandi gruppi globali riescono a correggere.
Certamente l’Inter mi smentirà vincendo qualunque cosa nel giro di un paio d’anni, ma per il momento a rassicurare tutti c’è niente meno che Moratti: “De Boer ha bisogno di tempo”. E poi giù di milionate per portare a Milano la più classica delle stelle del Santos.
A proposito di Italia, l’eleganza con cui Giampiero Ventura ha aggirato la questione Berardi è da manuale, ma nel senso del manuale di conversazione: nel 3-5-2 l’attaccante del Sassuolo proprio non ci sta. E questo a prescindere dalla “elongazione del collaterale mediale” mostrata da una provvidenziale risonanza magnetica fatta dopo la partita col Pescara. In buona sostanza significa che uno degli uomini più in forma del momento proprio non ce la farà a scendere in campo contro la Juve. Sfortunata coincidenza che potrà dare qualche argomento complottista agli interisti che arriveranno tremanti, dopo la pausa, al cospetto del Pescara, aperitivo della sfida con la Juve.