La serie A, la Premier e le dimensioni di Totti e Balotelli
Leicester. Non dite che non vi avevo avvertito, e da anni: se un giocatore che milita in Premier League va a giocare in serie A non vuol dire che il campionato italiano sta tornando appetibile anche all’estero, ma che quel giocatore ha iniziato il suo declino: perché, secondo voi, Cuadrado ha insistito tanto per tornare alla Juve, invece di restare al Chelsea? Perché a Manchester i tifosi dei Red Devils manco sanno più come si scrive Darmian? Lasciate stare Paul Scholes, che per elogiare la Juventus fa l’errore di pensare che tutte le squadre italiane siano come quella bianconera, e fa il superiore dicendo che qualunque sfida delle serie minori è migliore di una del massimo campionato inglese (lo cercavo ieri sera tra il pubblico di Empoli-Crotone, deve essermi sfuggito). Per capire la mediocrità della A bastava guardare Pogba in campo sabato nel derby di Manchester: o era Padoin molto abbronzato, oppure il 6 dei Red Devils è stato costretto a confrontarsi di colpo con un campionato in cui gli avversari difficilmente gli fanno fare le piroette sul pallone a centrocampo. La sua prestazione ai livelli di un Montolivo qualunque spiega molto della lezione di calcio impartita da Guardiola a Mourinho sabato. Non che la cosa mi faccia piacere, of course, essendo Pep l’essere che più non sopporto al mondo dopo il barista che mi allunga il whiskey con acqua del rubinetto. L’unica cosa che potrebbe rendermelo simpatico sarebbe una vittoria della Champions League quest’anno: per vedere una squadra inglese battere le altre europee sarei disposto a tutto. Sabato pomeriggio all’Old Trafford però è successo un altro episodio degno di nota: il gol di Ibrahimovic al City è arrivato dopo un’uscita a caso di Bravo, il portiere che ha sostituito Joe Hart, costretto – e qui torniamo al discorso iniziale – a fuggire in Italia (ma non alla Juventus, bensì al Torino) perché messo in panchina da Guardiola. “Per vedere cappelle del genere potevamo tenerci Hart”, hanno pensato e detto i fan dei Citizens. Joe è però un vero cuore blu, e per non intristire troppo i suoi ex ma ancora affezionati tifosi ha pensato di smanacciare un calcio d’angolo sui piedi di un avversario, che lo ha puntualmente infilato. Qui da noi sono due giorni che ridiamo, ma c’è da capire lo spaesamento di Hart, anche se non è da imputare né alla lingua né all’intesa imperfetta con i compagni. Domenica Joe sapeva di dovere esordire in serie A: quando è entrato nello stadio di Bergamo e si è guardato attorno ha avuto un attacco di panico, e ci è voluto un po’ per rassicurarlo che no, non aveva preso il pullman sbagliato, finendo in un campo di Lega Pro. Gli stadi in Italia sono proprio così.
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Mario “je-suis-content” Balotelli ha segnato in una giornata di campionato francese più gol di tutti quelli che aveva messo a segno in una stagione di Premier League, e questo la dice lunga sulla qualità dei due tornei. Com’era prevedibile, lui dà la colpa del suo imbarazzante rendimento in Inghilterra al Liverpool (“il peggiore errore della mia vita”) e si rilancia con vaneggiamenti sul Pallone d’oro. Forse ha leccato le rane sbagliate nella cucina di qualche ristorante nizzardo. Devo però ammettere che sono felice per lui, perché è sempre bello vedere un uomo che trova la propria vocazione, un giocatore che trova la propria dimensione. Balotelli è un campione della mezzaclassifica francese che per un certo periodo è riuscito a farci credere di avere cittadinanza nell’olimpo dei fuoriclasse immortali. La sua cittadinanza, invece, è in quel di Nizza, lontano dalle pressioni e dal calcio che conta ma vicino alla maison di Raiola a Montecarlo e comunque sempre a tiro di Lamborghini dall’Hollywood. Un onesto e rispettabile attaccante di provincia, e sia detto senza la minima ironia. Era ironico, piuttosto, chi diceva che Balotelli non era da Milan, che di questi tempi non si sa bene cosa voglia dire.
L’altro attaccante che in questa giornata ha trovato la sua dimensione è Francesco Totti, monumentale idolo della squadra della città eterna ed eternamente di provincia che s’arrapa per una rimonta contro la Sampdoria, quella che una volta era la specialità dell’Inter. Totti entra e dà di che discorrere a tutti i tassinari della capitale per una settimana e più, ma è nelle qualità di Juan Jesus in marcatura, non nelle improvvisate sventagliate del capitano, che si apprezza l’ambizione di una squadra che molto vuole e poco stringe. E questo senza considerare l’ennesimo rigore concesso ai giallorossi. Totti è un campione da vecchio video di YouTube messo fra i preferiti per poi compulsarlo nostalgicamente ogni volta che la squadra crolla in primavera sotto il suo stesso peso, ma è anche questo il bello del calcio di provincia. La stessa bellezza che mi ha stregato guardando Pescara-Inter, una partita sudamericana per intensità, occasioni da gol e disciplina tattica, con Frank de Boer già costretto alla terza giornata a buttar dentro quattro punte e a sgranare il rosario. I tifosi dell’Inter hanno di che consolarsi: in qualche altro quartiere di Milano, e della Cina, c’è chi sta peggio.