La serie A è fatta a scale, Sarri scende, Melchiorri sale
Una fabbrica dei sogni. Altrui. Questa è l'Inter, oggi come ieri. Una squadra che non nega a nessun avversario un personalissimo quarto d'ora di celebrità. Ma Federico Melchiorri merita più di questi quindici minuti, pur amplificati dal gol e dalla successiva azione con cui ha provocato l'autorete di Handanovic, base per la vittoria del Cagliari a San Siro. Perché sei anni fa giocava tra i Dilettanti, in Eccellenza, nella sesta categoria del pallone italiano. Non pensate a una storia alla Jamie Vardy, cadreste nell'errore. Nessun percorso irresistibile verso l'alto, come per il centravanti del Leicester. Piuttosto, la classica rinascita dopo la caduta. Una caduta di cui l'attaccante del Cagliari non aveva alcuna colpa, perché contro la malattia poco si può fare: la incassi, la combatti e, se hai fortuna, la vinci. Quella di Melchiorri si chiama emangioma cavernoso, un tumore benigno che lo colpisce alle testa, dove i vasi sanguigni “impazziscono” per il riprodursi delle cellule epiteliali. Il male interrompe una carriera di dignitoso professionismo in Lega Pro, le cure permettono di superarlo in alcuni mesi, senza però garantire la prospettiva del pallone come un lavoro. Melchiorri se ne fa una ragione, immaginando un nuovo futuro: si iscrive a Economia e scende nei campionati minori. Ma lì continua a proporre ciò che sa realizzare (bene), segnando in continuazione dal 2010 in poi. Gioca nel Tolentino, gli avversari si chiamano Elpidiense Cascinare, Montegranaro, Biagio Nazzaro o San Sisto. Tutti regolarmente puniti, al punto che Melchiorri diventa una scommessa che vale la pena tentare. Lo fanno Maceratese, Padova e Pescara, prima del Cagliari. Contribuisce al ritorno in serie A dei sardi, prima che il destino si ricordi di lui in un beffardo primo aprile, con una lesione al legamento crociato anteriore in allenamento. Anche questa superabile, come il guaio alla testa, soprattutto con la fiducia della società, che se lo tiene stretto nonostante le richieste al mercato. Una fiducia che Melchiorri ripaga, con la rete della vittoria sulla Sampdoria al (ri)debutto in serie A (era sceso in campo pochi minuti il 20 dicembre 2006 con la maglia del Siena) e con quanto combina a San Siro. Ci è arrivato alla soglia dei 30 anni, che compirà a inizio gennaio, ma la sua fetta di gloria se l'è già ritagliata. E con merito.
Anche Maurizio Sarri era arrivato tardi in serie A, intesa come debutto (a Empoli, nel 2014) e come grande squadra (a Napoli nel 2015). Un ritardo bruciato a tappe forzate, prima con la salvezza in Toscana e quindi con il ritorno dei risultati e del bel gioco in Campania. Ora, altrettanto velocemente, il tecnico rischia di rovinare il credito che aveva saputo guadagnare. Non possono essere due soli risultati negativi a cancellare quanto di buono fatto, ma le sconfitte in trasferta con l'Atalanta e poi in casa con la Roma – nel giorno in cui si decideva l'anti-Juventus – hanno lasciato e lasceranno il segno. Perché c'è altro che stride in una stagione finora ricca più di polemiche che di sorrisi, sul campo e fuori del campo. Certi ritornelli (“I titoli si vincono grazie ai bilanci”) cominciano a puzzare di vecchio e a funzionare da alibi, specie quando perdi contro chi ha meno potenzialità economiche delle tue. Certi atteggiamenti (le parolacce in conferenza stampa e l'eterna rabbia nei confronti della Juventus) iniziano a essere imperdonabili anche per chi ha fatto dell'essere antipersonaggio uno stile di vita. Certe insistenze sui titolari (Gabbiadini testardamente considerato punta unica e gli acquisti estivi graziosamente accomodati in panchina) diventano controproducenti. Nel calcio contano classifiche e bacheche. Quella del Napoli – finora – si sono arricchite grazie ai successi di Walter Mazzarri e Rafa Benitez. In attesa di Sarri.