L'attaccante della Fiorentina Federico Bernardeschi (foto LaPresse)

La giovane Italia di Bernardeschi e l'indolenza di Paredes

Leo Lombardi

Il talento della Fiorentina guida la Viola alla vittoria, dimostrando quel talento che sembrava perduto. Il ventiduenne della Roma invece affossa, per ora, le velleità tricolori della Roma.

Pochi, ma buoni. Il calcio non deve rispettare quote per gli stranieri, esclusi (come al solito) gli extracomunitari. Costano di meno, accampano meno pretese pur di giocare e, secondo l'abituale lamento all'italiana, tolgono quindi spazio ai nostri ragazzi. Ma, per fortuna, su un campo da pallone il merito conta ancora, eccome. E alla lunga emerge. Lo ha dimostrato l'ultimo turno di campionato. Andrea Belotti ha confermato di essere il leader riconosciuto del Torino mentre Lorenzo Insigne ha risvegliato l'orgoglio del Napoli. Due gol per entrambi, e due gol pure per Federico Bernardeschi, uno che si sta pian piano ritrovando. Come la Fiorentina, la sua squadra.

 

Un anno fa, di questi tempi, le chiacchiere oziose lo facevano passare per giovane fenomeno già in orbita Barcellona, come se là davanti Messi, Neymar e Suarez avessero avuto bisogno di qualcuno. Nel giro di pochi mesi ha rischiato di ritrovarsi, complici le critiche velenose, con l'etichetta di eterno incompiuto appiccicata addosso. Come se a 22 anni avesse già una vita vissuta da mettersi alle spalle. Certo, lui ci aveva messo del suo, con prestazioni tutt'altro che brillanti. Ma molto avevano contribuito le scelte di chi, come il suo allenatore Paulo Sousa, lo poneva in condizioni potenzialmente utili per la squadra ma in verità buone soltanto a frenarne il talento. Perché questo è sempre stato riconosciuto a Bernardeschi, uno cresciuto a pane e Fiorentina. Un'esistenza in maglia viola, da quando aveva 10 anni, tranne una stagione da fenomeno in prestito a Crotone. Uno su cui ogni allenatore era pronto a giurare. Uno che ha avuto la sfrontatezza di scegliere la maglia numero 10, che in viola (vedi alla voce: Roberto Baggio) avvicina al sublime. Uno che devi lasciare libero dalle gabbie tattiche, perché con un movimento, con una finta, con uno-contro-uno può cambiare la storia di una partita. Così non era più, a inizio campionato, quando Bernardeschi doveva rincorrere gli avversari, più che essere rincorso. E così è invece oggi, che lo ritrovi sulla linea dell'attacco, pronto a inventare come a colpire. Domenica due reti all'Empoli, che vogliono dire cinque nelle ultime cinque partite. Non può essere un caso. Sousa ha capito, la Fiorentina apprezza e l'Italia spera, confidando nel fatto che Gian Piero Ventura non parli più di Bernardeschi come possibile mezzala.

 


Il centrocampista della Roma Leandro Paredes (foto LaPresse)


 

Appare invece già ai titoli di coda il destino del campionato. Sette punti di vantaggio alla giornata numero 13 non garantiscono nulla, però pesano a livello psicologico. Soprattutto se la Juventus si guarda intorno e vede che la concorrenza si pone fuori gioco da sola. Ultima la Roma, battuta in rimonta dalla splendida Atalanta. Una partita che è stato un lento scivolare giallorosso verso un destino ineluttabile. Un'arrendevolezza cui neppure Luciano Spalletti ha saputo dare spiegazione. Un abbassare la guardia che ha in Leandro Paredes l'immagine definitiva. L'argentino entra nel finale per dare sostanza a una squadra che si stava sfaldando, non trova di meglio che commettere il fallo del rigore che porta al successo dei bergamaschi. Un intervento tanto plateale quanto inutile, sotto lo sguardo diretto dell'arbitro Rocchi. Uno sgambetto a Gomez che non si registra neppure in scapoli contro ammogliati, portato a termine con l'indolenza di uno che, a 22 anni, dovrebbe invece aggredire il mondo. Come fa il coetaneo Bernardeschi. Invece Paredes si è afflosciato dopo gli elogi della stagione scorsa a Empoli e, con lui, la Roma tutta. Un pessimo segnale.