That Win the Best
Si stava meglio quando si stava Blatter
L’inutilità della var e le ridicole misure anti biscotto Fifa
Londra. Confesso che già nutrivo in tempi passati annoiata indifferenza per la Coppa Intercontinentale. Mi ha sempre detto poco quella falsa finale in cui una squadra campione d’Europa ne affrontava un’altra campione del Sudamerica (cioè del nulla) in una partita secca giocata in terre in cui il calcio era familiare al pubblico quanto l’autoironia ad Aldo Cazzullo. Figuratevi il mio interesse per il Mondiale per club, quel torneo di parrocchia in cui improbabili squadre messicane, giapponesi, congolesi e oceaniche fanno da sparring partner a Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco o qualunque altra squadra europea abbia vinto la Champions League. Formula sonnolenta e inutile, il Mondiale per club era difficilmente peggiorabile.
Eppure sotto l’insipiente guida di Gianni Infantino la Fifa ce l’ha fatta, introducendo la Var durante le partite. La meglio conosciuta – nei pub – moviola in campo ha esordito in Kashima Antlers-Atlético Nacional (e già i nomi delle squadre avrebbero dovuto farci temere il peggio), con un rigore assegnato ai giapponesi dopo che l’arbitro ha passato un’eternità davanti a un monitor a vedere e rivedere l’azione, con pause che manco nelle peggiori partite di football americano. Come naturale ci sono state comunque polemiche, dato che il giocatore atterrato fallosamente era in fuorgioco, e la Fifa si è dovuta inventare una nuova regola per giustificare la decisione.
Klaudia Adamczyk è visibilmente molto legata al suo fidanzato, il giocatore del Leicester Bartosz Kapustka
Ma mica poteva finire lì: nell’altra semifinale è successo un casino dopo il gol di Cristiano Ronaldo, con l’arbitro in attesa di sapere dalla Var se poteva convalidare la rete oppure no e giocatori che esultavano o protestavano a caso. Ci arriva Modric a capire che la Var “non è calcio” – dato che tenta di dare una struttura rigida a uno sport in cui per fortuna ancora molto sfugge ai dati e alle macchine – perché i parrucconi della Fifa non lo capiscono? Eppure sarebbe semplice: ve lo immaginate Juve-Roma con la moviola in campo? Buon per Osvaldo Soriano che è morto già da un po’, o sarebbe costretto a riscrivere “Il rigore più lungo del mondo”. E sai che palle. Non dico che si debba arrivare all’assurdo di provare nostalgia per Joseph Blatter, ma se alla moviola aggiungono le cosiddette misure “anti biscotto”, orrore linguistico e gastronomico in questo periodo di grandi infornate, la tentazione è forte. Per mettere in pratica la pessima trovata di un mondiale a 48 squadre, dove cioè vengono escluse Malta e altre otto Nazionali minori, tocca fare una miriade di gironi da tre squadre dove passano le prime due (e perché non tutte e tre! Ripeschiamo! Rigiochiamo! Commercializziamo!) questo aumenta la possibilità che nell’ultima partita le due squadre che giocano si mettano d’accordo ai danni di quella che riposa.
Come se ne esce? Abolendo il pareggio, dice la Fifa, che nei prossimi decenni punta al programma massimo di abolire anche il pallone. Il pareggio è un risultato naturale nel calcio, che non è il basket né l’hockey, e se nelle fasi a eliminazione diretta un compromesso per risolvere la questione è inevitabile, nei gironi non è così. Ma agli sbruffoni della Fifa non viene in mente che, se il problema si presenta, ha senso riformare la struttura del torneo, non togliere il sacrosanto pareggio.
Ma c’è un altro aspetto della vicenda, che è indicibile eppure vitale: il biscotto non deve morire. In quanto sublimazione dell’arte della guerra, il calcio prevede alleanze tattiche e machiavellici stratagemmi per avere la meglio sugli avversari, anche se nell’atto la purezza morale delle intenzioni un po’ s’intorbidisce. Il biscotto isolato e fuori dal contesto è un atto furfantesco, ma nella grande sottrazione del dare e dell’avere i conti si pareggiano, e se non si pareggiano si riequilibrerà con altri mezzi, in altre occasioni. La dea che tiene in mano la grande bilancia del calcio è davvero bendata, ma la Fifa preferisce l’immagine dell’occhio del grande fratello, vorrebbe che il calcio globale fosse un panopticon senza segreti né menzogne, ma con molti avvisi di garanzia.