Ode alla Totti's attitude, il modo leggero e giocoso di stare al mondo
Speranze per i secondi 40 anni del genio romanista
Sulla schiena ho una scimmia: è astinenza da Francesco Totti. Non tanto perché lo vedo giocare poco o niente, da non romanista ho già elaborato questo tipo di lutto: il suo fisico è integro, si allena in modo coscienzioso, non si abbuffa di carbonara, ma a quaranta anni nessuno può difendersi per più di mezz’ora dagli armadi a due ante che oggi vanno per la maggiore. Perciò razionalmente mi accontento di vederlo in campo anche pochi minuti, so che la sorpresa sta sempre in agguato, ogni volta che tocca la palla qualcosa può accadere, fare un lancio di quaranta metri in automatico spalle alla porta che mette un compagno davanti al portiere, far filtrare la palla tra una decine di gambe o qualcosa che nessun altro osa, arte da gustare a piccoli sorsi come l’ultima bottiglia di Chateau Petrus.
Mi manca crudelmente la Totti’s attitude, il suo atteggiamento particolare, il suo modo di comportarsi, di stare al mondo, insomma la tottitudine. Sarebbe un lenitivo in questi tempi un po’ cupi, in cui il paese sta male, la capitale non se la passa tanto bene e ci si ritrova, fragili e impauriti di fronte a una natura mai così matrigna e a una politica impegnata in bagarre da cortile. Avremmo più ironia, più autoironia, maggiore empatia con la sofferenza degli altri, più solidarietà verso chi ha avuto minore fortuna. Totti è figlio del popolo romano: ma non è volgare, mai greve, mai aggressivo mai arrogante, quando mostra ai tifosi laziali la t-shirt “vi avemo purgati” sfotte senza cattiveria.
Totti sembra che si prenda in giro da solo anche quando viene rappresentato come icona glamour, lui e la donna bella e brava che gli sta accanto e di cui è irriducibilmente innamorato da anni: se c’è uno che non ha nulla del farfallone amoroso è lui.
In quei magazine che i portatori di mal riposta superiorità antropologica non sfoglierebbero nemmeno dal parrucchiere, lo si vede fotografato in smoking blu e scarpe nere lucide forse un po’ troppo pesanti davanti alla chiesa di Santa Maria in Tempulo, a Roma, meglio nota come la chiesetta sconsacrata di Caracalla, dove Riccardo, fratello maggiore nonché procuratore, si sposa con la storica fidanzata Alessia: sono tutti solari, raggianti, Ilary in Chanel e Chanel, la figlia, in abitino a righe e lui tiene in braccio l’ultima nata, Isabel, che non ha ancora otto mesi ma porta orecchini e un cerchio di fiori sul capo come una vera damigella. Per Totti la famiglia è sacra, è la vera radice della forza.
Ilary lo invita al Grande Fratello Vip – “aho so’ raccomandato” – lui ci va e fa un numero da grande comico, sfida da solo tutti gli abitanti della casa, una congrega di figuranti attoniti e anonimi capitanata da Valeria Marini e dall’ex calciatore Bettarini: bisogna dire i nomi dei sette nani, lui vince e aggiunge che i fratelli Grimm di nani ne avevano creati otto, l’ottavo è Broccolo, Ilary è pronta, a Francé ma che stai a dì ma non si sa mai se il copione è tutto scritto e riscritto o c’è spazio per un guizzo d’improvvisazione e per la replica pronta della moglie conduttrice. Ho riascoltato recentemente qualcuna delle decine e decine di barzellette su Totti lette da Totti medesimo – su YouTube ce n’è una vasta collezione – con sempre accanto come spalla, un compagno di squadra, Del Vecchio, Candela, Montella, l’effetto è quello di Walter Chiari e Carlo Campanini quando riesumano i vecchi fratelli De Rege, si ride a pelle, nessuno si tiene, difficile reggere la forza d’urto di uno che si prende così in giro con ferocia serena, mostra di vivere senza complessi le sue lacune, non aver mai letto un libro, bisticciare con i gerundi: Totti trae forza dalla debolezza, si trasforma volontariamente in bersaglio come i Carabinieri d’antan o i belgi delle storielle francesi. Dicono che sia stato Maurizio Costanzo a suggerirgli di raccogliere e pubblicare come autore il primo libro di barzellette su di lui e fu un grande successo editoriale, proventi devoluti in beneficenza. Ma esperti di comunicazione a parte, il merito maggiore è di chi ha avuto il coraggio di dire di sì e di metterci la faccia, come si continua a dire con un’infelice espressione.
Nei suoi secondi quaranta anni, una volta archiviato il calcio giocato, pare che Francesco Totti non intenda allontanarsi dal mondo che è stato la sua vita, ancora pallone dunque, ha fatto sapere che gli piacerebbe restare in società come manager: ma non lo vediamo passare ore a competere con i Pallotta, con i Galliani e con chi per loro, o lo mandano al manicomio o ce li manda lui, non sono propriamente fatti per intendersi, è una questione questa sì linguistica. E’ suo diritto ma vorremmo che prima ci deliziasse e come Fiorello ci spinga verso il buonumore. Nel nostro paese anche i professionisti della risata fanno cagare, si sono fatti inquinare dalla politica e corrompere dallo spirito partigiano. C’è bisogno dunque di Francesco Totti e della sua giocosa leggerezza.