That Win the Best
La riabilitazione di Di Canio e il coming out di massa del Tavecchio inglese
Il ritorno del commentatore a Sky conferma che il politicamente corretto ha un tempo di cottura preciso, per servire la pietanza al pubblico occorre seguire la ricetta
Liverpool. Che la storia del Blue Monday fosse una bufala, per non dire una puttanata, l’ho capito da me ieri mattina. Mi sono infatti svegliato più contento del solito, e non era solo perché nel weekend il vecchio Charles mi ha portato il rifornimento mensile di brandy. La mia gioia era legata – come sempre nella mia vita – al calcio.
Mai pranzo fu più gustoso di quello di domenica: quattro portate, una per ogni gol rifilato dall’Everton alla banda sbandata di Pep Guardiola, un Manchester City più confuso in campo di un cardinale conservatore di fronte al Papa. Nelle stesse ore, gli eredi dello smilzo Michel Platini, il carrozzone della Uefa, ne facevano una giusta non inserendo il falso umile Guardiola tra i dieci allenatori più decisivi della storia del calcio.
Editoriali indignati, programmi tv dedicati all’errore imperdonabile dell’Uefa e lamentazioni assortite come in una puntata della Gabbia. Mai scelta fu più azzeccata, invece, e a questo punto non ci resta che la speranzosa attesa dell’unico vero deus ex machina del calcio mondiale da qui ai prossimi dieci anni: la squadra cinese. La squadra cinese è un’entità più o meno astratta, che da qualche settimana plana sul mercato come un ufo nei b-movie anni Ottanta e rapisce giocatori a caso, senza distinguere tra vecchi, giovani, pippe, bidoni o fenomeni. Nessuno sa veramente come si chiami, si sa solo che c’è sempre Cannavaro che fa offerte che i giocatori sono tentati di accettare.
Il centrocampista del Fenerbahçe Skrtel si allena anche in spiaggia. Qui ha messo la moglie Bara, nomen omen, in barriera e prova a battere un po’ di punizioni
La squadra cinese è ormai un alibi, un modo abile di pararsi il culo: basta dire ho un’offerta dalla Cina che subito ti raddoppiano lo stipendio. Oppure dire ho rifiutato un’offerta dalla Cina e farti applaudire per la coerenza e l’attaccamento alla maglia e far dimenticare così che in questo periodo stai giocando abbastanza di merda. Resta un fatto: il motivo per cui un calciatore di 26 anni voglia lasciare la Premier League, o anche solo la serie A, per andare a scomparire dietro la muraglia cinese è per me un mistero. Va bene i soldi, ma vuoi mettere la figa che c’è in Europa?
Il ritorno di Paolo Di Canio su Sky è un’ottima notizia per gli amanti del calcio e per gli antagonisti dei luoghi comuni, ma anche per i cultori della pratica della riabilitazione pubblica. Qualche mese di silenzio, paghetta sospesa, indignazione diffusa, un’intervista riparatrice al Corriere dove l’interessato ripete cose già dette, e tutto torna come prima. Son tatuaggi, in fondo. Ma se la rappacificazione è così semplice, non si poteva ancora più semplicemente evitare la rottura?
Bastava una cosa simbolica: mezz’ora dietro la lavagna e via. Il politicamente corretto, però, ha un tempo di cottura preciso, per servire la pietanza al pubblico occorre seguire la ricetta, e questo si sapeva già. Il fatto strano è che il tempo del necessario purgatorio sta diventando talmente breve da rendere insensata la cacciata dal paradiso, chi ci perde sono soltanto gli spettatori, privati per qualche mese di uno dei migliori commentatori di calcio su piazza. A proposito di politicamente corretto, occorre fare una precisazione. Greg Clarke, capo della Football Association e come tale persona dalla dubbia ragionevolezza, non ha suggerito ai calciatori omosessuali di fare coming out, come qualcuno ha riportato.
Questo suggerimento, condivisibile o meno nel merito, ha una sua logica. Clarke vuole che dichiarino la loro omosessualità tutti insieme, in gruppo, per darsi man forte e fare massa critica. A inizio stagione sarebbe perfetto, perché “tutti pensano che sarà il loro anno, la gente è felice, il sole splende”, e Clark ha già in mente un progettino per una bella manifestazione pubblica. Gli sponsor la adoreranno. Quelli che non la adoreranno saranno accusati di omofobia. L’anno successivo la adoreranno. Le comunità gay, però, dicono che tanti omosessuali fra i professionisti vivono bene la loro sessualità anche senza esibizioni e dichiarazioni, la gente li segue per quel che fanno sul campo, non fra le lenzuola. A chi gli chiedeva commenti sull’idea, il saggio eterosessuale Joe Hart ha risposto: “Parliamo di calcio”.