Meno 97 al Giro100: i Tre Moschettieri e lo scippo del Giro
L'edizione del 1912 fu la prima e l'unica disputata tenendo conto della classifica a squadre. Fu vinto dall'Atala, il marchio fondato da Angelo Gatti per sfidare la Bianchi. Storia di uno scontro sportivo/industriale
"L'era un borbottì de continuo, no an cancàr, sòl ch'el fasea semper bot-bot, bot-bot sot li barbìs". Battista Danesi era mantovano, correva in bicicletta ed essendo simpatico e sempre disponibile a chiacchierare veniva spesso cercato dai giornalisti. E spesso parlava anche del suo "rasdòr", il suo datore di lavoro, Angelo Gatti. Borbottava sempre Micio, così lo chiamavano tutti, ma a suo modo era anche simpatico, "gli si voleva bene", specificò Danesi alla Gazzetta dello Sport. Angelo Gatti borbottava perché quell’altro aveva mancato alla promessa data. Quell’altro era Gian Ferdinando Tommaselli, che nel 1900 aveva vinto in tandem con un olandese il primo rudimentale prototipo del Mondiale di ciclismo su pista, e poi nel 1908 aveva preso la guida della Bianchi. Presidente, il primo dopo il fondatore Edoardo. Si narra che il nobiluomo di Salò avesse promesso a Gatti la gestione del reparto corse e quella dei nuovi modelli. Non mantenne però la parola. Micio che era uomo generoso, ma burbero e facile all’arrabbiarsi, non prese bene la faccenda e se ne andò dall’azienda con l’idea di farsene una sua e fargliela vedere al Tommaselli. Soprattutto nel ciclismo.
Gatti fondò allora l’Atala, in onore alla mamma che dell’azienda portava il nome e capì subito che per vincere bisognava investire e che l’investimento più sicuro fosse mettere sotto contratto i migliori atleti in circolazione. E farli correre in una grande manifestazione sportiva. E così appena venne a conoscenza che il Corriere della Sera voleva organizzare una grande corsa a tappe con la Bianchi e il Touring Club, corse da dal direttore della Gazzetta Eugenio Costamagna e dal capo servizio del ciclismo Armando Cougnet per avvisarli di ciò e proporre loro di muoversi a organizzare una competizione del genere. L’indomani la Gazzetta annunciò che nel 1909 avrebbe avuto inizio il primo Giro d’Italia ciclistico, come ricorda Mario Fossati.
Micio aveva carattere ondivago, vagava tra stati d’umore contrastanti. E soprattutto non amava perdere. E così dopo aver vinto con Luigi Ganna nel 1909 e con Carlo Galetti nel 1910 le prime due edizioni della corsa, la vittoria dello stesso Galetti nel 1911 in maglia Bianchi, l’aveva gettato nello sconforto. Era pronto a chiudere tutto, quando Ganna lo avvisò che l’edizione successiva si sarebbe corsa a squadre. “Cosa ti serve per vincerla?”, chiese Gatti. “Pavesi e Galetti”, rispose Luisin. Pavesi e Galletti erano i corridori più pagati, con Ganna, dell’epoca. Ed erano già stati tutti e tre in maglia Atala nel 1910. Li riaccolse tutti, promettendo loro maledizione eterna se non avessero vinto il Giro “con tutto quello che mi sono costati, una fabbrica mi potevo prendere”, esclamò prima della prima tappa, ricorda Costamagna.
I Tre Moschettieri mantennero la promessa e scansarono la maledizione. Con loro c’era pure Giovanni Micheletto, il conte di Sacile, uno a tal punto raffinato che “anche in corsa usava il fazzoletto” (per pulirsi il naso), perché Micio “quando le faceva le corse, le faceva sempre in grande”, ricordò l’Avucatt Pavesi.
Fu l’ultimo Giro conquistato da Angelo Gatti. Nel 1919 vendette l’azienda a un artigiano di Padova Emerico Steiner e si ritirò in Brianza. Fu il primo magnate dello sport, molti decenni prima di Agnelli, Moratti e Berlusconi.