Il sentimento di Firenze per Chiesa e Saponara
Figlio d'arte il primo, innamorato della Viola e della città, sta lavorando per diventare grande. Il secondo, talento a corrente alternata, ha lasciato Empoli portando al presidente Corsi 9 milioni.
Essere figli d'arte non è un compito semplice: chiedete a Julian Lennon, per esempio. Si rischia di essere schiacciati, in mancanza di una qualche parte del talento dei genitori. E, quando se ne ha, scatta automatico il paragone: bravo sì, ma il padre… Nello sport è invece facilitato proseguire la tradizione di famiglia, in quelli di squadra ancor più. Perché un papà e una mamma si portano dietro i figli agli allenamenti, poi li mettono su un campo (con il pallone tra i piedi) o in un una palestra (con il pallone tra le mani) e il grosso è fatto. Non serve nemmeno un talento eccelso, particolare annegato nel contesto di gruppo, in cui altri possono venire in soccorso. Quando questo c'è, allora il padre viene inesorabilmente sorpassato dal figlio. Paolo Maldini, nei confronti di Cesare, l'ultimo esempio. E l'attuale campionato, vuoi per una combinazione anagrafica, vuoi per una crescita delle qualità nelle nuove generazioni, sembra l'Almanacco Panini editato con l'annata sbagliata. Siamo tornati indietro di una ventina di anni, con tanti cognomi di allora che si rincorrono sul campo.
Prendete Fiorentina-Genoa di domenica. In viola Federico Chiesa (figlio di Enrico) e Ianis Hagi (figlio di Gheorghe), in rossoblù Giovanni Simeone (figlio di Diego) e Andrea Beghetto (figlio di Massimo). Chiesa e Simeone in campo, 19 anni il primo e 21 il secondo. Dell'argentino avevamo già parlato00, la doppietta dell'ultimo turno lo fa salire a 10 gol, confermando le sue ragioni di quando non vuole essere chiamato “Cholito”, ovvero figlio del “Cholo”, ulteriore segnale di distacco. Chiesa è invece tutto suo padre: stesse caratteristiche fisiche (piccolo e scattante), stesso reparto, stessa imprevedibilità, stessa velocità di esecuzione, come si è visto domenica. Papà più seconda punta, lui più ala; papà più giramondo, lui innamorato fisso di Firenze, che non vorrebbe lasciare mai. Un giocatore come non se ne vedono quasi più in Italia. All'allenamento va a piedi oppure accompagnato dal padre, sul suo corpo non trovi ombra di tatuaggio, tra le letture ci sono i manuali di quelle scienze che vorrebbe studiare all'università e l'inglese è parlato con una padronanza fuori del comune. Una vita segnata dal passato, perché non c'è soltanto Enrico nella sua storia. Quando Federico comincia a giocare un po' più seriamente, il suo allenatore alla Settignanese era Kurt Hamrin: lo chiamavano “Uccellino” per la leggerezza del tocco, sul campo era attaccante come pochi altri. A Firenze, dove hanno rispetto per la storia, lo adorano ancora oggi, ultraottantenne. Per il giovane Chiesa era stato uno stimolo, come lo sono stati l'esempio e le parole del padre: “Diventerai uno da serie A quando avrai giocato almeno 300 partite”. Il lavoro è appena iniziato.
Come è appena iniziato quello di Riccardo Saponara, ingaggiato dalla Fiorentina nel mercato di gennaio. Parlando di talento, il suo è di quelli andati a corrente alternata: grandissime cose quando stava bene e si sentiva valorizzato (Empoli, per l'appunto), flop quando il fisico non era al meglio e il contesto non aiutava (Milan). In estate il presidente Fabrizio Corsi lo valutava, non si sa quanto seriamente o meno, più di venti milioni. La Fiorentina lo aveva chiesto all'Empoli, non se ne era fatto nulla. A gennaio i viola sono tornati sotto e l'affare si è concluso con un prestito biennale con diritto di riscatto (una formula che piace assai) per nove milioni, meno della metà rispetto a qualche mese fa. Tanti soldi, comunque, che non possono non far piacere alle casse dell'Empoli. Se Corsi riesce a stare nel calcio ad alti livelli da tempo lo si deve all'abilità con cui trova giocatori in giro, li valorizza e li vende. Cessioni sostanziose come Hysaj, Valdifiori e Tonelli al Napoli oppure Mario Rui alla Roma, con i nove milioni di Saponara come top. Resta un dubbio, legato alla tempestività. Ovvero, quanto possa incidere sul campionato lasciare andar via in questa fase l'elemento di punta della squadra. Qualcosa evidentemente non funzionava più (“Non era felice da noi” si è lasciato sfuggire il presidente) ma, con una classifica serena però non ancora sicura, potrebbe rivelarsi un azzardo. E il 4-1 incassato dall'Empoli a Crotone è il primo segnale