Meno 93 al Giro100. Le gesta amorose di Tano Belloni, l'eterno secondo

Giovanni Battistuzzi

Nel 1920 il corridore di Pizzighettone si aggiudicò il suo primo e unico Giro d'Italia. Conquistò più donne che vittorie, fu il primo playboy del ciclismo italiano, 150 volte alle spalle del vincitore

Si narra che fuori dagli spogliatoi dei velodromi quando correva lui si accalcassero un tal numero di ragazze che mai nella storia del ciclismo era successo di vedere. Si narra che molte volte lui dovesse uscire dalla porta di servizio per non essere travolto e che la stessa porta di servizio alcune volte fosse invece aperta da qualche inserviente per lasciarne passare qualcuna. Si narra poi che una volta che si trovava nella Riviera ligure per preparare la Milano-Sanremo, imboccata la discesa dopo il Santuario di Madonna della Guardia, cadde e con la bici si fermò sul bordo di un burrone. Si alzò, tornò sui suoi passi e una volta entrato in chiesa ringraziò la Madonna promettendo che avrebbe fatto il bravo per un po’, rifuggendo le tentazioni. Così fece. Il mese dopo vinse la sua seconda Classicissima. Il 6 giugno l’ottava edizione del Giro d’Italia. 

Un risultato che sarebbe eccezionale per chiunque. Un risultato che lo è ancor più per uno come Gaetano Belloni di Pizzighettone dalle parti di Cremona, uno che Emilio Colombo chiamava l’eterno secondo. Ed eterno secondo Tano lo era davvero: oltre 150 volte alle spalle del primo, qualcuno ne attesta addirittura quasi 200, ma le statistiche ufficiali smorzano tanto entusiasmo. D’altra parte c’era un certo Costante Girardengo che gli correva contro. Poi arrivò Alfredo Binda.

Se la carriera sportiva gli riservava lo spiacevole ruolo di testimone di lusso di vittorie altrui, in pochi nella storia di questo sport possono vantare un successo maggiore con le donne. Sarà stata l’altezza, il fisico muscoloso, le spalle larghe e quella voce da baritono. Oppure la sua parlantina brillante, il suo “sguardo da uomo che ne aveva passate di ogni”, così almeno lo descriveva Tullo Morgagni dopo la vittoria alla Sanremo del 1917. Tano lo chiamavano anche "la sicurezza", nel senso che quando c’era lui in giro era sicuro che gli altri andavano in bianco.

 

Ma in quel 1920 tutto questo sembrava non esistesse. C’era quel voto fatto alla Madonna da rispettare. E così si rassegnò a smetterla con la Vita, così almeno si chiamava in gergo qualsiasi forma di divertimento che non fosse il pedalare in sella a una bicicletta. Tano smise e vinse tutto. Pure il Giro, quello che l’anno prima conquistò il suo grande rivale e grande amico Girardengo. Si narra che andassero così d’accordo perché uno di Vita era esperto e imbattibile, Tano, e l’altro invece ne fosse totalmente a digiuno, Costante. L'esatto contrario accadeva nel ciclismo in fatto di vittorie. Ma si sa, a ognuno vanno riconosciuti i propri pregi. 

Belloni quell’anno andava che sembrava un treno e in pochi riuscivano a tenergli la ruota. Lo stesso Girardengo – che dopo tre tappe, a causa di una serie di cadute, dovette abbandonare il Giro – riconobbe che "per contrastarlo ci vorrebbe un aiuto dal Padreterno". Vinse tre volte, sempre da solo, perché quello era per lui l’unico modo per ottenere il successo. “Se mi presentavo vicino al traguardo con due avversari ero capace anche di arrivare quarto”, scherzò più volte a proposito della sua scarsa velocità allo sprint. Quell’anno però le volate per tutti non erano che un miraggio, gli avversari gli si staccavano di dosso uno dopo l’altro durante i chilometri di corsa.