Camerun-Egitto, il triste finale di partita del calcio africano
Oggi si gioca l'ultimo atto della Coppa d'Africa ma, chiunque vinca, gli equilibri pallonari del continente rimarranno inalterati. Così come i limiti e i difetti di un movimento che è sempre rimasto una grande promessa
La trentunesima edizione della Coppa d’Africa potrebbe passare alla storia per quello che è accaduto alle 20, ora locale, del 18 gennaio, a Libreville, nello stadio d’Angondjé: calcio d’inizio di Camerun-Guinea Bissau tirato direttamente in fallo laterale dai giocatori guineani. Un gesto che ha fatto tornare alla mente quanto accaduto il 22 giugno 1974 al Parkstadion di Gelsenkirchen durante la sfida mondiale Zaire-Brasile: all’85’ ci fu una punizione per i verdeoro e mentre Rivelino era pronto a batterla il difensore africano Ilunga Mwepu si staccò dalla barriera calciando via il pallone e prendendo un’ammonizione. Un gesto ancora oggi inspiegabile nonostante la situazione politico-finanziaria che aveva esasperato i calciatori della Nazionale africana, divenuta poi Repubblica Democratica del Congo. Ilunga Mwepu è morto e con lui la verità su quel gesto. Ciò che resta invece intatta nel tempo è la sensazione che il calcio africano potrebbe fare di più e meglio ma resta ancorato ai suoi vizi e alle sue mancanze, alcune delle quali strutturali. L’allenatore tedesco Volker Finke, Ct del Camerun al Mondiale brasiliano, ne ha individuate tre: campi (stadi?) impraticabili, per allenamenti e partite; media spettatori, per gare dei massimi campionati, tipica del basso dilettantismo europeo (300-600); salari pagati una tantum, spesso un terzo del dovuto.
Come accade in Europa e in Sudamerica, le uniche due vere patrie del calcio, alla fine la tradizione conta e a giocarsi la coppa sono quasi sempre le stesse squadre. L’Uganda considerato un outsider credibile ha realizzato un solo punto ed è stato eliminato nella fase a gironi, mentre il Burkina Faso dopo la finale persa contro la Nigeria nel 2013 disputerà quella di consolazione. Per l’Egitto sarà la nona, ne ha vinte sette delle otto disputate fino a ora, per il Camerun la settima, con quattro vittorie e due sconfitte alle spalle. Quindi, come nell’86 e nel 2008, egiziani e camerunensi si contenderanno il trono d’Africa, con i secondi impegnati in ogni rito possibile per ingraziarsi divinità varie ed eventuali dato che nei due precedenti i nordafricani hanno prevalso, seppur di misura: 5-4 ai rigori la prima volta, 1-0 la seconda. Il Ghana, incapace di nascondere la frustrazione per aver perso la semifinale col Camerun quando in tanti l’aspettavano a Libreville e la davano favorita, se la vedrà invece col Burkina Faso. La storia narra di nove finali, quattro vinte e cinque perse, con l’ultima vittoria che risale al 1982. Nell’albo d’oro a pari merito col Camerun e davanti a Nigeria (tre), Costa d’Avorio e Repubblica del Congo (due a testa). Curioso che squadre come Marocco e Algeria, che hanno goduto ripetutamente di buona stampa, l’abbiano vinta una volta sola, mentre il Senegal ha perso col Camerun ai rigori nel 2002.
Nel 2026 l’Africa potrebbe vedere aumentare i posti disponibili per il Mondiale a 48 squadre, pare nove in totale. Ma il continente, dati oggettivi alla mano, non ha nove nazionali competitive per giocare la Coppa del Mondo e questo la dice lunga sulla reale forza del calcio africano da una parte e sull’idea di allargare a dismisura l’appuntamento principe del football. Le formazioni più forti sono quelle i cui calciatori giocano all’estero e, quasi sempre, allenate da tecnici europei o sudamericani. Di fatto non esiste un movimento autoctono, non esiste una scuola africana, con una sua storia e una sua tradizione. Nemmeno i grandi club con le proprie academy contribuiscono perché dietro l’idea di portare i fondamentali del calcio nei posti più sperduti del continente c’è un solo obiettivo: scovare il Samuel Eto’o o il Didier Drogba del domani, prima della concorrenza. Presentando la Coppa d’Africa, il giornalista ghanese Fiifi Anaman aveva detto al Foglio: “Il talento dei nostri giovani non si discute, ma dobbiamo investire nell’organizzazione”. Il Gabon, che ospita la manifestazione, ha un’economia dipendente dal petrolio. Il calcio qui è organizzato direttamente dallo Stato che quando ha problemi economici, dovuti anche alla fluttuazione finanziaria della materia prima, non paga i calciatori, che scioperano. Pare che la visita di Lionel Messi, per l’inizio della costruzione di uno dei nuovi stadi, edificati da ditte cinesi, per la Coppa d’Africa, sia costata 3 milioni di euro di cachet per il giocatore, ma il governo nega.
I numeri dicono che le nazionali africane sono arrivate ai quarti di finale dei mondiali solo tre volte in venti edizioni, nel 1990 il Camerun, nel 2002 il Senegal e nel 2010 (in Sudafrica) il Ghana. La bella Algeria è ricordata per il biscotto austro-tedesco che la fece fuori nell’82, il Marocco per essersi battuto coraggiosamente negli ottavi contro la Germania nell’86 e la Nigeria per aver messo paura all’Italia di Sacchi nel ’94, sempre negli ottavi. Si registrano ottime affermazioni giovanili, dimostrazione che il talento, come detto, c’è e due medaglie d’oro ai Giochi Olimpici per Nigeria e Camerun, ma l’atteso salto di qualità, annunciato da oltre vent’anni, non c’è mai stato. Disatteso anche da governi incapaci di amministrare lo sport e da federazioni, Caf compresa, troppo ‘politiche’, non sempre competenti e inclini a favoritismi e personalismi. Per gli amanti della dietrologia sarà curioso sapere che il Ct dell’Egitto è l’hombre vertical Hector Cuper, mentre del Camerun il meno noto Hugo Broos. L’unico “italiano” in gara, come direbbero in una televisione qualsiasi, invece, è il romanista Mohamed Salah. Oggi l’Africa incoronerà la sua regina e chiunque vincerà sarà un successo che non sposterà gli equilibri pallonari del continente. Tra progetti di solidarietà e il paternalismo dei grandi club europei il calcio africano galleggia nello storytelling nel quale è stato ghettizzato, continuando a non andare da alcuna parte, certamente lontano dal futuro pronosticato.