Il grande dimenticato, Giovanni Brunero: meno 87 al Giro100
Nel 1926 il corridore piemontese vince il suo terzo Giro d'Italia. Un ciclista eccezionale che ebbe la grande sfortuna di correre contro Costante Girardengo e Alfredo Binda
A vederlo sulla macchina a pedali sembrava “morso dalle pulci”, perché incapace “di proceder spedito con le terga sulla sella, deve alzarsi il corridore, a mostrar a tutti la parte bassa della maglia”. Il suo era l’incedere del grimpeur, ma quello che oggi esalta milioni di tifosi, allora era atteggiamento poco gradito almeno al patron del Tour de France, Henri Desgrange.
Sarà forse per questo che di Giovanni Brunero poco si parla e ancor meno si è scritto; oppure perché accanto a lui tuonava Girardengo e infuriava Binda, il primo Campionissimo, uomo da ogni corsa e da sorriso al fotografo, il secondo più che campione, fenomeno, affamatissimo, bello ed elegante quanto bastava per finire ritratto in decine e decine di reclame pubblicitari; oppure perché invece di far incetta di vittorie, mirava all’essenziale, quasi gli dispiacesse dimostrarsi superiore agli avversari.
O forse è l’insieme di tutto ciò. Perché Brunero era scalatore prima che gli scalatori facessero davvero innamorare le folle; perché fuggiva e cercava la solitudine e solo questa gli permetteva di non tirare i freni per la paura di cadere e così farsi superare da qualcuno. Accanto a lui quei due vincevano tutto perché su qualsiasi terreno eccellevano, mentre lui solo quando la strada si faceva irta riusciva a togliersi di dosso paure e avversari.
O forse è soprattutto perché si trovava sempre un ma e un se ad ogni suo successo. Così nel 1921 scrissero che senza quel capitombolo prima del Macerone Girardengo non avrebbe avuto rivali; e così nel 1922 se non si fossero ritirate le squadre del Campionissimo e di Tano Belloni, chissà cosa sarebbe accaduto.
Poi arrivò il 1926 e Alfredo Binda, che l’anno precedente aveva dominato il Giro, si ritrovò sdraiato sulla ghiaia scendendo dalla Serra, poco sopra Ivrea. Perse venti minuti e salutò ogni speranza di classifica. Girardengo, visto il rivale salutare le ambizioni di vittoria, capì che era tornato il suo turno e iniziò così ad arrembare: due vittorie senza però mai riuscire a staccarsi di ruota quel Giuanin che aveva imparato ad andare forte quando la strada non saliva. Roma e Napoli si inchinarono al Campionissimo, ma era verso Sulmona che gli organizzatori avevano inserito le rampe più dure, quelle dove vincere la corsa. E sul Macerone Brunero accelerò di cattiveria e ardore, Binda si staccò subito, Girardengo provò a resistere, gli rimase a ruota piegato dallo sforzo sulla bicicletta, ma arrivato in cima si accorse che nel tentativo rabbioso di rimanere in coda al piemontese aveva storto il tubo dello sterzo: la sua bici era irrimediabilmente rotta, il ritiro era l’unica soluzione. Brunero senza più nessuno aspettò il compagno di squadra Binda, che lasciò vincere a Sulmona.
L’indomani per far tacere i giornalisti che ne sminuirono l’impresa alla settima tappa, volle abbandonare tutti sull’ascesa verso Leonessa. Rimasero a guardargli le spalle, tutti sui pedali.
Quello fu il suo terzo successo al Giro. Fu il primo a riuscirci, o almeno in solitaria, perché Galetti per tutta la sua vita dietro i suoi baffetti continuò a dire: “L’era bravo el Giuanìn, l’era bravo, ma tre Giri per primo li vinsi io. La culpa l’è del Cougnet, l’è stat lü a far el Giro a squadre”.
Vincitore: Giovanni Brunero a 137 ore 55 minuti e 59 secondi
Secondo classificato: Alfredo Binda a 15 minuti e 28 secondi; terzo classificato: Arturo Bresciani a 54 minuti e 41 secondi;
chilometri percorsi: 3.429.