Quando Binda fu pagato per non correre: meno 83 al Giro100
Nel 1930 l'organizzazione del Giro d'Italia decide di dare l'equivalente del premio del primo classificato (più qualche extra) al Trombettiere di Cittiglio. Il motivo? Era troppo forte e gli altri corridori non ci volevano correre contro
Ventiduemilacinquecento lire. Il prezzo delle speranze in un Giro d’Italia. Quello del 1930. Ventiduemilacinquecento lire, abbastanza per una casa di medie dimensioni fuori Milano, abbastanza per essere considerato agiato, quasi ricco. Ventiduemilacinquecento lire, il primo premio al Giro d’Italia più qualche extra, l'equivalente di cinque tappe conquistate. Ventiduemilacinquecento lire, quelli dati ad Alfredo Binda dall’organizzazione del Giro d’Italia per convincerlo a non schierarsi al via di quell’edizione.
Nel 1925 il primo, nel 1927 il secondo e poi 1928 e 1929, terzo e quarto. Ventisette tappe vinte sulle complessive 41 delle tre edizioni precedenti. Un tripudio, un dominio totale, a volte imbarazzante. E poi i fischi all’arrivo dell’ultima tappa del 1929 quando per qualche centimetro la sua ruota fu superata da quella di Alfredo Dinale. Fischi per lui, per il Binda, perché la domanda non era più “chi ha vinto oggi?”, ma “ha vinto il Binda”, e senza quasi l’intonazione interrogatoria, più o meno un’affermazione.
L’umore del gruppo era opaco, i volti erano diventati scuri e qualsiasi speranza si era trasformata in un'evidenza: “Cosa ci si viene a fare al Giro se c’è lui”, il Binda. A far fatica, e tanta, per il miraggio di un piazzamento era un'inutile sofferenza. E già in molti si dicevano pronti a non partecipare al Giro, a risparmiare energie per altri lidi, altri obiettivi. Voci che corrono, che passano di bocca in bocca, ovviamente ingigantite, esagerate, infiocchettate per sembrare un abbandono. E collettivo. Voci che arrivano a Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, il giornale che organizzava il Giro d’Italia. E da lui ad Armando Cougnet. C’era da inventarsi qualcosa per non ritrovarsi con un pugno di corridori al via già depressi perché consci del destino che gli sarebbe toccato. C’era da inventarsi qualcosa, ma che cosa? "Lasciamo a casa il Binda", si dissero.
E così fecero.
Colombo prese la macchina e andò dal commendatore Bozzi, il padrone della Legnano, la fabbrica di biciclette che faceva correre il Trombettiere di Cittiglio. Ne uscì un accordo che soddisfò entrambi: ventiduemilacinquecento lire al campione e un indennizzo per il disturbo alla Legnano. E poi una promessa: la libertà per il corridore di correre nelle riunioni su pista a chiamata. Colombo era contrario, contrarissimo. La paura era quella di vedere più gente nei velodromi che per strada. Binda minacciò di iscriversi al Giro e Cougnet a quel punto convinse il suo direttore. Stretta di mano e tanti saluti.
Binda corse per velodromi e piccole corse per preparare il Tour de France e ricavò più o meno un altro primo premio al Giro d’Italia. In Francia ci finì con il rivale Learco Guerra per provare a ripetere gli exploit di Bottecchia. Era il primo Tour per squadre nazionali, il regime aveva chiesto una prova magnifica e le cose si stavano mettendo bene: Guerra in maglia gialla dalla seconda tappa e Binda terzo con qualche piazzamento di troppo. Poi la settima tappa e il capitombolo del Trombettiere. Una ventina di minuti persi che rovinarono piani e umore. Binda era arrabbiato. Lasciò tutti indietro a Pau, sconquassò il gruppo sull’Aubisque e sul Tourmalet prima di vincere a Luchon. Poi abbandonò la corsa. Senza motivo. Dissero che la gamba gli doleva. Dissero che volesse preparare il duro Mondiale di Liegi, che poi vinse. Anni dopo sussurrò: “Tornai a casa anche perché quei quattrini del Giro, tanti quattrini, ancora non erano arrivati”. Già perché Colombo aspettava il Tour, magari una vittoria per ottenere uno sconticino. I soldi arrivarono prima del Mondiale, ma solo dopo furiose litigate tra la Federazione e il Trombettiere, la prima delle quali, si narra, avvenne proprio a Luchon. Fu il regime a fare in modo che non ci fossero altri abbandoni durante la prova iridata
Prima dei litigi di Binda, un giovanotto di poco più di ventun anni con la gamba forte e per giorni una benda all’occhio si ritrovò alla terza tappa primo e primo ci rimase sino a Milano. Luigi Marchisio, due tappe le vinse - nonostante il sasso che gli ferì la cornea sinistra -, ma non dominò e quel Giro fu bello e combattuto. Marchisio divenne il più giovane corridore a vincere il Giro d’Italia. Almeno sino al 1940, almeno sino a Fausto Coppi.
Vincitore: Luigi Marchisio in 11 ore 11 minuti e 55 secondi;
secondo classificato: Luigi Giacobbe a 52 secondi; terzo classificato: Allegro Grandi a 1 minuto e 49 secondi;