Solo Mussolini riuscì a fermare Gino Bartali: meno 75 al Giro100
Prima del Giro d'Italia del 1938 il regime impose a Ginettaccio di non partecipare alla corsa rosa per preparare al meglio il Tour de France (che poi vinse). In quell'edizione trionfò Giovanni Valetti
“Giovinezza, giovinezza // primavera di bellezza”, cantava l’inno trionfale del partito nazionale fascista. Alla giovinezza fu dedicato il Giro d’Italia del 1938, o almeno così l’avevano pensato a Roma e imposto agli organizzatori. E giovinezza fu: edizione con l’età media più bassa dei novantanove disputati e secondo della storia per numero di debuttanti (40,7 per cento) se si escludono quelli successivi alle pause belliche.
Giovinezza come imperativo, giovinezza come stimolo e diversivo. Perché qualcosa doveva pur dire quell’edizione che al via vedeva sì molti giovanotti, ma non Gino Bartali, che un anno in meno aveva sia del del vincitore Giovanni Valetti che del secondo Ezio Cecchi, e che due Giri già gli aveva vinti dimostrando in bicicletta di non avere eguali quando la strada saliva. E Ginettaccio a quelle corsa ci avrebbe volentieri partecipato se non ci fossero gli ordini del regime e quel diktat: “Vincere il Giro di Francia”.
A casa da quell'edizione rimasero tutti i più forti: Aldo Bini, Vasco Bergamaschi, Enrico Mollo, Glauco Servadei. D’altra parte c’era il buon nome dell’Italia da difendere in terra francese, c'era da surclassare i transalpini che dalla formazione dell’asse Roma-Berlino-Tokyo si erano permessi di apostrofare non teneramente Mussolini. Le velleità personali andavano messe da parte per qualcosa di più grande indipendentemente se l'interesse nazionale fosse o meno sentito come missione da coloro che per le strade di Francia avrebbero pedalato.
Bartali il Tour lo corse, come del resto fece l'anno precedente, ma questa volta al Tour trionfò. I rimpianti di dodici mesi prima, quando solo una caduta nel torrente Colau durante la Grenoble-Briançon gli aveva impedito il successo, divennero ovazione. Più francese che italiana però. Il regime infatti non fu del tutto entusiasta. Sentire Bartali ringraziare la Madonna e non l’Italia sul podio parigino fece arrabbiare il segretario del partito Achille Starace e dal MinCulPop partì una velina a tutti i giornali nella quale si invitava ad ignorare qualsiasi notizia che lo riguardasse a eccezione dei meri bollettini sportivi.
Vincitore: Giovanni Valetti in 112 ore, 49 minuti e 28 secondi;
secondo classificato: Ezio Cecchi a 8 minuti e 47 secondi; terzo classificato: Severino Canavesi a 9 minuti e 6 secondi;
chilometri percorsi: 3.754.