La filosofia di Zeman e il nervosismo di Allegri
Il tecnico boemo è tornato in serie A con la missione impossibile di provare a salvare il Pescara, ultimo in classifica: ha vinto 5-0 al debutto. L'allenatore della Juventus invece è alle prese con giocatori poco in linea con lo stile Juventus
Il 12 maggio gli anni saranno settanta, li festeggerà ancora una volta senza avere una coppa da mostrare o un titolo da appuntarsi sul petto. Ma a lui andrà bene così, perché Zdenek Zeman è una filosofia di gioco (e di vita), che va oltre il semplice essere allenatore. L'ultimo suo recapito era stato Lugano, nel formidabile campionato svizzero. La passata stagione gli avevano affidato una squadra neopromossa: pareva un'impresa complicata, ha chiuso con una salvezza, una finale di coppa e l'ennesimo addio. Non traumatizzante, secondo abitudine (un licenziamento subìto oppure dimissioni volute), comunque una sosta, al punto che l'unico Zeman in attività era il figlio Karel, oggi alla guida della Reggina, culmine di una carriera fatta di terze linee. Ma il boemo è immancabilmente attratto dal richiamo dei luoghi in cui si è trovato bene, non riesce a dire no. Gli era capitato di tornare nel Foggia del miracolo Zemanlandia, come di riabbracciare la causa della Roma o quella del Lecce. Rientri a furor di popolo, voluto da tifoserie che adoravano il suo calcio apparso sempre in anticipo sui tempi. E con risultati ogni volta deludenti. Per questo l'ennesimo ritorno, a Pescara, potrebbe finalmente rivelarsi quello giusto. Perché era oggettivamente difficile fare peggio di quanto visto finora, con una squadra incapace di centrare una vittoria sul campo in ventiquattro giornate, con un rapporto invelenito tra proprietà e Massimo Oddo, l'allenatore che aveva riportato la squadra in serie A la scorsa stagione, e con un ambiente che stava scivolando dalla contestazione alla violenza. Il presidente Sebastiani ha visto in Zeman la via d'uscita. Da quelle parti la gente ha sempre perdonato tutto a chi ha saputo farli divertire, era successo in passato con Giovanni Galeone, naturale provarci con il boemo. E l'inizio è stato deflagrante: la prima vittoria, cinque reti segnate (e, soprattutto, nessuna subita), il Genoa umiliato al punto da decidere per il licenziamento di Ivan Juric. Molto difficilmente il Pescara riuscirà a salvarsi, però può provare a perseguire ciò che gli chiede Zeman. Ovvero “almeno divertirsi”. Come ha cominciato a fare lui alle prime interviste, replicando a quanti gridavano al miracolo dopo le reti su palle inattive: “Il mio merito sui gol? Quello su angolo l'abbiamo provato una sola volta ed erano anni che lo facevo senza mai riuscire a segnare...”.
Chi non si è divertito, invece, è Massimiliano Allegri. Non tanto per quanto sta combinando la Juventus, intesa come collettivo. Un primo posto con sette punti di vantaggio su chi insegue è sintomo di salute. Preoccupano piuttosto i singoli, con atteggiamenti che non ti aspetteresti in un ambiente che ti insegna come si vince. Nervosismi e polemiche fuori luogo, come quelle di venerdì sera nell'anticipo contro il Palermo. Il battibecco tra l'allenatore e Leonardo Bonucci è stato vista in diretta da tutti, allo stadio come a casa. Un litigio plateale per una questione di cambi, che ha fatto infuriare Allegri e costretto la società a intervenire nei confronti del difensore. Una scena poco edificante, giunta proprio nelle ore in cui Roberto Baggio compiva cinquant'anni. E la memoria è andata al 23 giugno 1994, al Mondiale statunitense quando Arrigo Sacchi, in una partita da dentro o fuori contro la Norvegia, toglie proprio il numero 10 per fare posto a Marchegiani, entrato al posto dell'espulso Pagliuca. Baggio esce dal campo pronunciando un “questo è matto” passato alla storia. Sacchi ha ragione quel giorno, l'Italia vince 1-0 e continua la marcia nel torneo. Baggio avrebbe avuto ragione più avanti, con un fantastico gol alla Nigeria che ci avrebbe tenuto in vita negli ottavi e guidando gli azzurri da leader fino alla finale, poi persa ai rigori con il Brasile (e con errore proprio di Baggio). Ora Bonucci sa ciò che lo attende sul campo.