Pipaza Minardi e quella fuga bidone che cancellò la sua impresa: meno 64 al Giro100
Il romagnolo nel 1954 conquistò la Maglia Rosa dopo aver pedalato da solo per mezza Sicilia. Sfortuna volle che pochi giorni dopo verso L'Aquila il gruppo lasciò mezz'ora di vantaggio a Clerici e Assirelli
In nome l’aveva perso anni addietro e quasi non lo ricordava più. C’era sul foglio dell’arrivo, quello con su scritta la classifica, ma erano giusto un po’ di lettere messe in sequenza. Per tutti era altro. Pipaza e basta. Giuseppe Minardi lo chiamavano i giornalisti e ormai neppure più loro. Pipaza e basta. Così lo avevano soprannominato da piccolo, così lo aveva chiamato chiunque l’avevesse conosciuto, così quasi sempre si chiamava lui. Pipaza e basta.
Era forte Pipaza. Un corridore veloce, scattante, che quando la strada saliva andava veloce, ma che quando la strada saliva troppo a lungo si stancava e preferiva staccarsi piuttosto che faticare come un dannato. Non si dannava Pipaza, che tanto i Giri di tre settimane non erano per lui, al massimo una tappa, qualche giorno in Maglia Rosa, ma a inizio Giro, che poi arrivavano le salite, quelle lunghe. Preferiva le corse di un giorno e una importante pure la vinse: il Giro di Lombardia del 1952.
Era coraggioso Pipaza. Uno a cui piaceva la velocità che quando il gruppo andava piano partiva in fuga e poco importa chi lo seguiva. Nel Giro del 1953 si era fatto da solo l’Appennino, 140 chilometri senza nessuno attorno. Era andato come un treno quel giorno e quando imboccò la via Emilia verso Modena sembrava ormai imprendibile per tutti. Era andato talmente forte che gli avversari se ne erano quasi dimenticati e quando lo videro arrancare nella pianura emiliano si stupirono. Era andato talmente forte che si era dimenticato di mangiare e ora non aveva più un’energia in corpo. Mancavano ottocento metri all’arrivo che era in testa. Arrivò a cinquanta secondi.
Era svagato Pipaza. Uno che ogni tanto si distraeva guardandosi attorno. Nel Giro del 1951 era in fuga verso Pescara con altri cinque corridori. A dieci dall’arrivo avevano dieci minuti di vantaggio, ma iniziarono a guardarsi, a studiarsi, smisero quasi di pedalare. E quando a tre chilometri dall’arrivo i minuti di vantaggio erano diventati due, ci pensò il suo direttore sportivo, l’Avocatt Eberardo Pavesi, a svegliarlo dal torpore. Lo iniziò a frustare con un fascio di ortiche. Pipaza per sfuggire da lui scattò e vinse la sua prima tappa al Giro.
Era altalenante Pipaza. Uno che imparava in fretta, ma che altrettanto in fretta dimenticava. E così quando nel 1954 si ritrovò avanguardista con altri due corridori, non rallentò, staccò i compagni e a Taormina arrivò quattro minuti prima di tutti. Maglia Rosa. La prima. Centottanta chilometri di fuga, settanta in solitaria. Poteva essere il colpo da teatro del Giro. Non lo fu solo perché Carlo Clerici e Nino Assirelli risalirono gli Appennini dell’Abruzzo assieme a una mezza dozzina di corridori e poi da soli, con il gruppo che andava al pascolo per protestare con la direzione di corsa per una questione di premi. Persero mezz’ora quel giorno. La Fuga bidone era andata in porto e la possibilità di vincere per i campioni si era ridotta a zero. Pipaza nonostante tutto era quarto e un posto tra i primi dieci era alla sua portata, cosa rara per uno come lui. Cinque giorni dopo però si dimenticò di nuovo mangiare e sull’Appennino ligure scese dalla bicicletta, si sedette su di una paracarro e aspettò la macchina del medico implorando di dargli qualcosa da mangiare.
Vincitore: Carlo Clerici in 129 ore 13 minuti e 7 secondi;
secondo classificato: Hugo Koblet a 24 minuti e 16 secondi; terzo classificato: Nino Assirelli a 26 minuti e 28 secondi;
chilometri percorsi: 4.337.