Un cuore matto che vuole bene a Franco Bitossi: meno 54 al Giro100
Nel Giro d'Italia del 1964 il corridore toscano supera tutti nella riedizione della Cuneo-Pinerolo dominata da Fausto Coppi quindici anni prima
Il ciclismo è una sorte di fede pagana che ha un suo calendario, i suoi santuari, i suoi martiri, le sue litanie. Formule fisse o quasi, alcune sono pressoché immutabili, altre si adeguano ai tempi, altre ancora ricorsivamente si ripresentano, ma tutti conoscono, che basta citarle per sapere esattamente di cosa si sta parlando. Tra queste, due parole sono diventate una soltanto, detta d’un fiato, senza pause: cuneopinerolo. Il cantore la nomina, i fedeli rispondo: Maddalena-Vars-Izoard-Monginevro-Sestiere. La cuneopinerolo è Fausto Coppi su tutti, ma anche Franco Bitossi. E’ 1949, ma anche 1964 e 1982 e 2009 anche se la neve che ricopriva i passi alpini fece saltare un po’ tutto.
L’assolo di Coppi è impresa inavvicinabile. Dino Buzzati la fece diventare poema, letteratura. Quello di Bitossi quindici anni dopo, l’epica la lasciò da parte, divenne thriller, un turbinio di colpi di scena, immagine stessa del corridore toscano.
Franco era atleta di razza, veloce ma non velocista, forte in salita ma non scalatore, 171 vittorie in carriera, 21 al Giro, un duro, ma dal cuore matto, Cuorematto, per via di un’aritmia che diventava tachicardia e lo costringeva, ogni tanto, a sedersi su un muretto o un paracarro, a rilassarsi, a farsela passare, a guardare gli altri passare, la vittoria svanire.
Bitossi era un’altalena di atleta, capace di tutto, di attaccare, soffrire, andare in crisi, riprendersi, vincere quando ormai sembra tagliato fuori, perdere quando ormai sembra vincitore. Nella Cuneo-Pinerolo del 1964, la sua vittoria (forse) più bella. Sulla Maddalena, faticò, si staccò, sembrava fuori dai giochi, in discesa recuperò, sul Vars si riprese, sull’Izoard attaccò, fece il vuoto, guadagnò minuti, sul Monginevro ne aveva quasi dieci di vantaggio, sul Sestriere andò in crisi di fame. Sembrava spacciato, la salita sembrava lo potesse inghiottire da un momento all’altro, la sua pedalata era stanca, sfinita, finita. Perse oltre sei minuti, si attaccò al cibo, agli zuccheri, grondando, sbandando. Conquistò la cima che il suo volto era stravolto e quella cinquantina di chilometri che aveva ancora da percorrere sembrava per lui una condanna. In cima il vento iniziò a spirare ed era fresco e Bitossi ne fu grato. Fu in quel momento che si ridestò dal pensiero di una fine incombente, fu in quel momento che capì che i cento secondi e spicci che aveva sugli inseguitori non erano poi così pochi, fu in quel momento che riprese a mulinare sui pedali. Divorò i chilometri a naso all’ingiù, aggiungendo qualche secondo al suo tesoro. E quando vide il traguardo davanti e il vuoto alle spalle spuntò un sorriso su quel suo volto toscano. Lo attraversò con le braccia alzate, ma timide, quasi non volesse competere con quanto fatto dal Campionissimo. Due minuti dopo arrivarono i migliori della classifica regolati da Vittorio Adorni allo sprint.
Si veste di verde per la prima volta in carriera, re degli scalatori, lui che scalatore non è, lui che non è niente, lui che è tutto, il ciclismo, cuore e incoscienza, vittorie e disfatte, lampi di classe e imprese impossibili.
Vincitore: Jacques Anquetil in 115 ore 10 minuti e 27 secondi;
secondo classificato: Italo Zilioli a 1 minuto e 22 secondi; terzo classificato: Guido De Rosso a 1 minuto e 31 secondi;
chilometri percorsi: 4.119.