E' morto Romano Cenni, l'imprenditore che fece rinascere Pantani
Il fondatore del Mercatone Uno aveva 84 anni. Il suo gruppo seguì tutta la vicenda sportiva del Pirata dopo l'incidente alla Milano-Torino: dai successi sino alla scomparsa
Per quasi quarant'anni è stato l'altro. Nel senso di idea di imprenditorialità prima ( società di ipermercati dell'arredamento privata, il Mercatone Uno, in una regione, l'Emilia-Romagna, dove vigeva il modello cooperativista), sportiva, poi: una squadra che era una "nazionale" romagnola di ciclismo, stretta attorno a un unico uomo, a un solo capitano, a un solo obiettivo, farlo vincere. Romano Cenni era l'altro, il contraltare di una regione che lo aveva sempre rispettato come uomo e come imprenditore senza mai però prenderlo a modello. Ed era l'altro anche nel ciclismo, quando il ciclismo aveva motore italiano e le grandi squadre negli anni Novanta risiedevano nella penisola. La Mapei di Giorgio Squinzi era il prototipo di razionalità sportiva, i suoi campioni vincevano qualsiasi corsa a qualsiasi latitudine; la Mapei era allora il modello di come creare e gestire una squadra, di come farla diventare la migliore sopra ogni ragionevole dubbio: un'azienda a pedale. La Mercatone Uno no. Non aveva nulla di questo, era una famiglia, con i suoi difetti sicuramente, ma era un unione di uomini, una casa per chi decideva di starci, di correre per un fine e quel fine era Marco Pantani.
Romano Cenni Marco l'aveva adottato alla fine del 1996. Aveva deciso di crearci attorno un mondo, il suo mondo, una Romagna a pedali, lui che era di Dozza, quindi Emilia, ma romagnolo lo era per animo e abitudini. Fu Luciano Pezzi, un tempo ciclista, poi direttore sportivo, infine creatore del mondo che Cenni contribuì a costruire, che li presentò. Fu una lunga storia, una passione sportiva incredibile. Pantani portava ancora i segni della macchina che lo investì nella discesa di Pino Torinese alla Milano-Torino fratturandogli tibia e perone e mettendo a rischio la sua carriera. Cenni decise che quell'uomo fragile che aveva davanti sarebbe stato il suo uomo, il suo capitano. Ci costruì attorno una squadra di gregari fidati, un manipolo di uomini che avrebbero fatto di tutto per lui. Il giallo della Mercatone Uno era una macchia nel gruppo che seguiva i movimenti del Pirata, che lo proteggeva in coda al gruppo quando la corsa era agli inizi, che lo lanciava nelle prime posizioni quando la salita si palesava sotto le ruote dei corridori. Una macchia gialla che si strinse attorno alle difficoltà del capitano quando un gatto lo gettò a terra sulla discesa del Chiunzi nel Giro del 1997; che diventava bluastra (al Tour nulla può essere giallo se non la maglia del leader) e diradata quando il Pirata ritornò arrembante sulle Alpi della Grande Boucle.
Nel 1998 l'apoteosi: la doppietta Giro-Tour, come Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Indurain, ossia il meglio che la storia del ciclismo ha offerto. La lotta con Tonkov verso Plan di Montecampione vissuta accanto a Luciano Pezzi, quella con Ullrich vissuta nel ricordo di Luciano Pezzi. Gli abbracci con Pantani, quel patto di infinito amore e di infinita gratitudine.
Per Romano Cenni Pantani era un pezzo di sé, un'altra faccia del suo io, personale e ciclistico. Neppure i fatti di Madonna di Campiglio incrinarono quel rapporto. Marco fu squalificato, cacciato come un criminale dal Giro che aveva ormai vinto e in tanti avrebbero fatto un passo indietro, lasciato cadere la sponsorizzazione. Cenni no. Continuò. E continuò anche quando Pantani era diventato la controfigura di se stesso, del grande scalatore che staccava tutti. Continuò sino alla fine. "Perché Marco è un ragazzo adorabile, una delle cose più importanti che ho avuto l'occasione di vivere".
Romano Cenni se ne è andato oggi. Se ne è andato che il suo sogno imprenditoriale sta messo così e così e il suo sogno ciclistico forse è messo peggio. Pantani non c'è più, l'Italia nel World Tour neppure.