Miguel Indurain in Maglia Rosa (foto LaPresse)

L'imputato Franco Vona beffò il giudice Miguel Indurain: meno 25 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il Giro d'Italia del 1992 è stato il primo vinto dal Navarro. E' stato anche quello delle due fughe di vincenti di uno dei gregari più generosi

Quando Franco Vona aveva preso la testa della corsa, sulle prime rampe della Forcella Staulanza, Miguel Indurain era ancora tranquillo, protetto dai suoi compagni di squadra. L’italiano tentava la sorte, perché qualche volta, soprattutto in montagna, quelli che si giocano la vittoria al Giro d’Italia si distraggono e capita che un coraggioso conquisti la vittoria di tappa. Lo spagnolo la sorte l’aveva già conquistata, andava solo gestita.

 

Franco Vona aveva iniziato la sua carriera facendo il gregario, aiutando il capitano, poi aveva continuato a farlo ma prendendosi delle giornate tutte per sé, per andare in avanscoperta, per vedere l’effetto che faceva la sensazione di essere inseguiti. Anche Miguel Indurain aveva iniziato così, anni agli ordini di Pedro Delgado e di José Miguel Echavarri seduto in ammiraglia. Gregario sì, ma privilegiato, perché il direttore sportivo spagnolo era da sempre convinto di avere in squadra un talento incredibile, che andava però svezzato, indirizzato, reso campione. “Se il ciclismo un tempo era bicicletta e capacità di farla correre più veloce degli altri, ora non è più così. Ci vuole testa, attenzione e capacità di governare tutti gli eventi, ci vuole anche psicologia”, disse all’Equipe. 

 

A Miguel Indurain, almeno all'inizio, mancava quella, perché con otto litri di capacità polmonare e un cuore che andava più lento di quello dei suoi colleghi (meno battiti vuol dire capacità maggiore di andare a tutta più a lungo), il vantaggio fisico era evidente. Franco Vona invece di capacità di soffrire ne aveva in abbondanza, era l’intelaiatura da campione a mancargli. Per questo Vona quando non doveva rispettare gli ordini della squadra, scattava il mattino e aspettava il fato, le distrazioni del gruppo. Anticipava per non essere staccato. Gli era sempre andata male ad eccezione della tappa di Innsbruck al Giro del 1988. 

Nell’edizione del 1992 da Genova era partito con un unico obiettivo: rimanere il più vicino possibile a Franco Chioccioli che l’anno prima aveva concluso in Maglia Rosa e che voleva ripetersi. Capì che sarebbe stato quasi impossibile farlo già alla quarta tappa quando in trentotto chilometri cedette due minuti a Indurain. Così quando Vona chiese di poter cercare qualche fuga nessuno obiettò nulla. Alla prima fu vittoria. Qualche secondo davanti a tutti a Sulmona, abbastanza per precedere Roberto Conti e sentire solo il rumore del gruppo in lontananza.

 

Quell’anno il laziale sentiva che la gamba era buona e la sorte dalla sua. Così ci prese gusto e capì che ogni tanto faticare per il proprio tornaconto non era poi così male.

 

Quando il cinque giugno aprì gli occhi e guardando fuori dalla finestra vide il cielo gravido d’acqua capì che quella sarebbe stato un giorno di avanguardia. Non poteva esimersi, doveva rischiare, perché quelli come lui erano obbligati a farlo, non potevano permettersi la schizzinosità dei capitani, che con il cattivo tempo preferiscono evitare i rischi e all’attacco prediligono il controllo. 

 

Vona aveva davanti a sé tre passi e un tempo infame. Dolomiti senza cima, asfalto inutilmente cattivo, nemmeno addolcito dalla bellezza nel quale è immerso. 

 

Franco Vona non se ne riuscì neppure a curare, perché avanti a tutti, perché solo e fradicio, perché aveva un intero gruppo alle calcagna, perché tra questi c’era soprattutto Miguel Indurain che inseguiva e lo faceva per davvero, per vincere una tappa. Avevano scritto che se non ci fossero stati tutti quei chilometri a cronometro non avrebbe vinto niente. Quel giorno attaccò in discesa dimostrando a tutti che nessuno aveva da insegnargli niente. 

 

Franco Vona era attaccato alla bici come un imputato alle parole del giudice. E il giudice quel giorno era Miguel Indurain. Il distacco si assottigliava, il Navarro volava, il laziale in qualche modo cercava di resistere. Metro dopo metro la Maglia Rosa si avvicinava, raccoglieva i superstiti della fuga del mattino, si avvicinava all’avanguardista. Gli era alle spalle, quando la strada svoltò e davanti apparve il traguardo. Vona si alzò sui pedali per l’ultima volta e quando si girò vide la macchia rosa superare Chiappucci e Giovannetti, ma ancora abbastanza distante da poter lasciare con le mani il manubrio e alzarle in segno di vittoria.

Vincitore: Miguel Indurain in 103 ore 36 minuti e 8 secondi; 
secondo classificato: Claudio Chiappucci a 5 minuti e 12 secondi; terzo classificato: Franco Chioccioli a 7 minuti e 16 secondi; 
chilometri percorsi: 3.843. 

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