Meglio il brandy di Juventus-Barcellona
Già tremo per l’eccesso di retorica che uscirà dalla sfida tra italiana e spagnola. Intanto Ibrahimovic fa il bullo e l'Inter è nel solito psicodramma
Londra. Credo che questa sera opterò per la sbronza triste, dato che il palinsesto sportivo mi offre Dortmund-Monaco e Juventus-Barcellona, prime partite di andata dei quarti di finale di una Champions League di cui ho già detto tutto il male possibile. Su tedeschi contro francesi non spreco nemmeno una riga, mentre già tremo per l’eccesso di retorica – in un senso o nell’altro – che uscirà dalla sfida tra italiana e spagnola. Senza troppi giri di parole, il Barcellona ultimamente fa cagare – mi sono persino sorbito la sconfitta con il Malaga, con Messi che tirava punizioni sulla barriera come un centrocampista del Sassuolo, per vederlo con i miei occhi – e i bianconeri hanno intelligentemente preparato la sfida buttandola sull’impresa impossibile che può diventare possibile, parandosi il culo in caso di sconfitta (“eh, il Barcellona è pur sempre il Barcellona…”) e preparando la strada alla leggenda in caso di (probabile) vittoria. I blaugrana non sono più quelli insopportabili di qualche anno fa, e questo me li rende quasi simpatici, ma sono pur sempre quelli che hanno rovinato un’intera generazione di commentatori e cronisti: basta che un loro giocatore qualsiasi faccia un lancio in profondità che la voce di chi in radio e tv racconta la partita salga di un’ottava, e il passaggio si trasformi per incanto in “magia di…”, seguito dal classico “ma che cosa ha fatto”, anche se l’azione finisce in nulla. Se devo dirla tutta, preferisco il brandy, anche se spero che Chiellini e Suárez mi diano qualche soddisfazione.
Chi non smette di darmene è Zlatan Ibrahimovic, sul campo, e chi gli cura la comunicazione e l’immagine: dopo lo squallido pareggio casalingo con l’Everton martedì scorso, Ibra ha cominciato a praticare lo sport che qualunque atleta di Mino Raiola sa fare meglio, gettare ombre sul proprio futuro. “Sono venuto allo United per vincere, non per perdere tempo: io sono un leone in mezzo a dei gattini”, ha detto dopo avere pareggiato su rigore al 94’. Domenica la squadra lo ha rassicurato, battendo 3-0 il Sunderland dell’ex manager Moyes (una piaga nella memoria dei Reds), e lui – che ha segnato – ha ripreso la simpatica analogia con Benjamin Button, dicendo di essere nato vecchio e che morirà giovane. Se è vero cominceremo a vederlo giovedì, nell’andata dei quarti di Europa League contro l’Anderlecht. Dove i tifosi dello United sperano di ritrovare anche Pogba, troppo preso da Twitter che gli ha dedicato un emoji per ricordarsi di giocare bene a calcio.
Ibrahimovic spiega a Pogba come è diventato Benjamin Button (foto LaPresse)
La cosa più interessante delle sconfitte dell’Inter contro squadre che si battono per non retrocedere è che fanno affiorare il subconscio, quello che ci vorrebbero sedici Champions vinte per imbrigliare con un Super Io da grande squadra. I giornali hanno già nel cassetto rassegne sulle sconfitte più imbarazzanti dai tempi di Ciccio Colonnese, e non si va ulteriormente a ritroso perché il lettore di questo tipo di vaccate ha tempo da perdere, ma non così tanto. Si parte dunque con l’Helsingborg e si finisce a Crotone, dove immancabilmente il mattatore di giornata è stato un vecchio scarto dell’Inter (ma se l’avessimo tenuto sarebbe stato un bidone totale, recita la psicologia del tifoso interista). Poi nel rituale intervengono vecchie glorie che castigano i giovani che non meritano la maglia (Nicola Berti: “Sono incazzato”) e poi gli allenatori allontanati, possibilmente ancora a libro paga, che sentenziano (Roberto Mancini: “L’Inter ha buoni giocatori, forse non ottimi dirigenti”). Del resto, una squadra che fa il dvd dopo una rimonta con la Sampdoria è evidentemente abituata a vivere in un perenne psicodramma.
Chi porta i palloni? Katja Krasavice ha “stregato” Balotelli, dicono i siti di gossip.
Pare per la bravura con cui ha disquisito con Super Mario di tattica e moduli di attacco
La psicanalisi è forse la disciplina giusta anche per capire Mario Balotelli, che passa il metal detector in scivolata dopo una doppietta al Lilla – che è un colore che piace alle bambine – e costringe l’Italia intera a sentire il solito coro all’indirizzo dell’allenatore della Nazionale. Convocalo, questa volta è diverso, Mario è cambiato, non è più quello che manda messaggi alle pornostar. Ah, no?
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