Il carnevale di Claudio Chiappucci a Corvara: meno 24 al Giro100
Nell'edizione del 1993, nel tappone alpino, el Diablo si trasformò in Gianni Bugno, mentre Bugno provò a fare il Chiappucci. Fu l'inversione delle parti. Di tutte a parte una, quella di Miguel Indurain
Il 5 giugno del 1993 partenza e arrivo erano uniti da una striscia di vernice tracciata sull’asfalto. Da Corvara in Badia si partiva e a Corvara in Badia si arrivava. In mezzo c’erano però 245 chilometri, un cielo che iniziava a velarsi e non prometteva nulla di buono, quasi tutto il meglio che le Dolomiti possono offrire: Passo di Costalunga, Passo Pordoi, Passo Fedaia, ancora il Pordoi, Passo di Campolongo. Era quello il tappone, la frazione che poteva e doveva dare il grande scossone alla classifica generale, indicare i primi vinti, chiarire le idee su chi potesse essere il vincitore. Bruno Leali era in Maglia Rosa alla partenza ed era certo che in Maglia Rosa il giorno dopo da Corvara non sarebbe ripartito. Troppe per lui tutte quelle montagne, troppo pochi quei sei secondi che aveva di margine su Miguel Indurain.
In quel circolo alpino dove partenza e arrivo condividevano la stessa striscia di vernice tracciata sull’asfalto, nulla però fu ricorsivo, fu un carnevale ciclistico, i protagonisti si invertirono le parti. Tutte a parte una, quella del re, quella interpretata da Miguel Indurain.
Il Pordoi era terminato, la discesa iniziata quando la maglia di campione del mondo uscì per tentare la sorte. Mancavano un’ottantina di chilometri alla conclusione e Gianni Bugno provava la fuga, mentre Claudio Chiappucci non si muoveva dalla ruota del Navarro. Bugno Gianni Mura lo chiamava Vedremo, perché “vedremo” era la sua risposta alla domanda “attaccherai domani?”. Era un corridore eccezionale, ma pacato e razionale, uno che calcolava costi e benefici e poi tirava le conclusioni. Chiappucci per tutti era invece el Diablo, perché in corsa non aveva strategie se non quella di provare l’impossibile e ogni tanto riuscirci. Era un avventuriero, immagine perfetta della spregiudicatezza, uno che lasciava i calcoli agli altri.
Non quel 5 giugno del 1993 però. Bugno aveva preso il posto di Chiappucci avanti al gruppo, Chiappucci quello di Bugno alle spalle di Indurain. Ma se non è l’assoluta ricerca dell’impresa a spingerti e il tuo cervello continua a calcolare, il compimento dell’impresa non può giungere, perché la fuga, specie se alpina, è gesto di follia, di sovvertimento delle regole. Bugno fu ripreso venti chilometri dopo che la Marmolada non era ancora finita, Chiappucci invece non lasciò mai la ruota dello spagnolo, per poi sorpassarla sotto lo striscione di arrivo.
El Diablo non aveva mai vinto al Giro d’Italia e di azzardi ne aveva provati, di pazzie compiute. Il meglio l’aveva sempre riservato per il Tour de France ed erano state imprese folli, eccezionali, bellissime. El Diablo conquistò quel giorno il suo unico successo, sorprendendo tutti vestendo i panni della normalità.
Vincitore: Miguel Indurain in 98 ore 9 minuti e 44 secondi;
secondo classificato: Piotr Ugrumov a 58 secondi; terzo classificato: Claudio Chiappucci a 5 minuti e 27 secondi;
chilometri percorsi: 3.702.