Parametri zero e zeru tituli. Cosa rimane del derby a Milano
Il gol di Zapata al 97esimo è il saluto dei rossoneri agli ultimi anni della gestione Galliani e forse segna l'addio nerazzurro di Pioli
Li Yonghong è tornato a casa con una società e con una maglietta in più in valigia. La società è il Milan, di cui è diventato proprietario in un Venerdì Santo che i tifosi ricorderanno a lungo: se per rimpiangere Silvio Berlusconi, o meno, soltanto il tempo potrà dirlo. La maglietta è quella di Cristian Zapata, il giocatore che ha reso indimenticabile il primo derby del nuovo proprietario, visto esultare in tribuna a San Siro come se avesse avuto da sempre i colori rossoneri nel cuore. Il colombiano ha firmato il 2-2 che ha annichilito l'Inter all'ultimo istante utile, a un minuto 97 in cui era impossibile poter recuperare quanto appena sfilato via da sotto il naso. Un gol ancor più particolare perché, in una giornata in cui la prima linea del Milan s'è concessa una latitanza non richiesta, è toccato ai difensori rimettere in linea di galleggiamento una barca che rischiava di affondare dopo le due reti incassate nel primo tempo. Due gol simili, quelli rossoneri, per fattura e per gesto. Entrambi su calcio d'angolo, entrambi risolti da una deviazione al volo in mischia: prima quella di Alessio Romagnoli, quindi quella di Zapata. Due centrali che, per di più, non sono abituati a segnare tantissimo, alla Sergio Ramos, giusto per intenderci. Tutt'altro, anzi, se si pensa che per loro si è trattato della prima rete stagionale e che in carriera le annate si sono spesso chiuse con questo bilancio. Zapata, poi, è stato del tutto inaspettato perché il colombiano fino a poco tempo fa era scomparso dagli orizzonti rossoneri. Vi era entrato nel 2012, preso in prestito dal Villarreal. In casa Milan erano cominciati i giorni di magra e Adriano Galliani andava a caccia di giocatori a fine contratto oppure a costo quasi zero. Come Zapata, finito in Spagna dopo buone stagioni all'Udinese. Non un fenomeno e neppure uno tanto scarso, ma con un enorme problema: quello di sostituire Thiago Silva, ceduto al Psg. Logico faticare, ancor più per le caratteristiche di Zapata. Non tecnico-tattiche bensì mentali, per quelle amnesie che spesso andavano a rovinare prestazioni anche ottime. Bastava un solo passaggio a vuoto per piazzare il colombiano dietro alla lavagna, poco aiutato dall'avvicendarsi di allenatori e compagni di reparto. Zapata è così scivolato lentamente ai margini della squadra titolare e per moltissimi è stata una sorpresa ritrovarlo tra gli undici di partenza a febbraio, contro la Sampdoria. Una novità assoluta perché, prima di allora, per lui non c'era stato neppure un minuto di campionato, complici un intervento estivo alla caviglia e la preferenza accordata a Gabriel Paletta come partner di Romagnoli. Un tempo che Zapata si è ripreso in un attimo, sabato all'ora di pranzo, in quel minuto 97.
Un minuto che (forse) ha anche segnato il destino di Stefano Pioli. Seguendo l'andamento schizofrenico del nostro calcio, il derby era per lui improvvisamente diventato il banco di prova per conferme future. Novanta minuti in cui giudicare una stagione che sembrava essere stata rimessa in piedi, dopo i disastri della gestione di Frank De Boer, e andata invece a rovinarsi nelle ultime giornate. Perché il problema di Pioli è che l'Inter ha toppato nel momento in cui ha deciso che l'asticella doveva essere alzata, nelle partite indicate come quelle in cui puntare sulla Champions League: sono arrivate due sconfitte e due pareggi che oggi mettono in dubbio anche la qualificazione all'Europa League. Un obiettivo che non deve essere analizzato sotto il profilo del prestigio, ma dal punto di vista economico. Giocare nelle coppe e andare avanti nel cammino, infatti, aiuta parecchio i bilanci, anche quando l'investitore appare molto solido come Suning. Il pareggio incassato all'ultimo istante complica invece i piani, rendendo al tempo stesso traballante il futuro di Pioli, sul quale si allunga sempre più minacciosa l'ombra di Antonio Conte. All'Inter servono caratteri forti, come dimostra la storia. Non aveva più vinto nulla, prima che arrivasse uno come José Mourinho. E oggi serve qualcuno che sappia andar oltre le timidezze e le incertezze di Pioli, dalla decisione di insistere sui pochi centimetri di Gary Medel come difensore centrale a cambi conservativi come quelli visti nel derby: fuori un centrocampista (Joao Mario) e dentro un difensore (Murillo), con il risultato di concedere un settore alla controparte e intasare la propria area, con le due mischie vincenti pro-Milan come esito finale. Un 2-2 che potrebbe essere diventato un punto di non ritorno, per l'Inter e per l'allenatore.